“Quello che la Russia ha fatto è imperdonabile”. Ha 18 anni, Egle, e serve ai tavoli di una piccola taverna che si affaccia sul lago Vištytis. Dalla parte opposta, avvolta dalle ultime luci del tramonto, c’è la sponda russa di Kaliningrad. Questo panorama fa parte della vita di Egle da sempre, ma quando il pensiero torna al 24 febbraio, giorno in cui i carri armati di Vladimir Putin hanno invaso l’Ucraina, a stento i suoi occhi trattengono le lacrime. “In Ucraina vivono tre miei amici, sono persone molto buone – dice commossa – Ho paura che possa succedere loro qualcosa”. Egle teme che la Lituania possa “essere la prossima vittima” di Mosca. E come lei, qui, lo pensano ancora in tanti. Per anni gli esperti di analisi militari hanno descritto la vulnerabilità di questo Paese che resterebbe uno dei più difficili da difendere in tutto il territorio della Nato. Da questa parte del confine, volgendo le spalle a Kaliningrad, si può osservare l’inizio di quel “corridoio” noto come Suwalki gap: una regione rurale in cui si alternano fattorie, laghi e piccole foreste. In meno di due ore di macchina, passando per strade secondarie, lo si può attraversare e raggiungere la Bielorussia. Se un’azione militare colpisse qui, congiungendo i due confini alleati di Mosca, le repubbliche baltiche sarebbero circondate e difficili da rifornire di uomini e mezzi.

Dopo il 24 febbraio, afferma chi abita e lavora lungo i confini fra la Lituania e l’exclave russa, la tensione è visibilmente aumentata. “Ogni tanto sentiamo delle esplosioni e la prima cosa che pensiamo è che si tratti di esercitazioni militari russe, questo fa un po’ paura”, racconta Ramuné, anche lei 18enne cresciuta a poca distanza dal confine orientale con Kaliningrad. Ma la storia che più di frequente capita di sentire è un’altra: turisti, escursionisti, bagnanti che vengono trattenuti per giorni dalla polizia russa per aver incautamente violato i confini, anche di pochi metri. Accade sulle dune sabbiose della penisola curlandese affacciata sul Baltico, nei paesaggi lacustri della frontiera orientale. Una di queste scene si svolge proprio sulle rive del lago Vištytis, quando la Guardia di confine lituana compare sia a riva che a bordo di un gommone per invitare un pedalò ad allontanarsi dalle boe che segnalano le acque territoriali. “Le vedette russe li avevano già avvertiti – riferisce Robert, il giovane incaricato del noleggio di canoe e pedalò – Sono scene che vedo ogni giorno, la situazione è molto tesa”.

Lo è da circa sei mesi. Subito dopo l’invasione in Ucraina, i lituani si gettarono a fare provviste nei supermercati e attraversarono un periodo di “paranoia”, racconta Elijus, uno studente appena tornato dal suo Erasmus a Bolzano che incontriamo presso Kapčiamiestis, a sette chilometri dal confine con la Bielorussia. “Del Suwalki gap ho sentito parlare”, dice su questa definizione che gli analisti hanno attribuito alla sua terra, “ma non vivo con il timore di un’invasione, cerco di non pensarci”.

Lo scorso giugno l’applicazione delle sanzioni Ue aveva colpito Kaliningrad provocando un’ondata di tensioni, in seguito rientrata grazie all’intervento della Commissione europea. Ora, il conflitto fra la Lituania e la Russia resta, soprattutto, una battaglia combattuta con i simboli. Alcuni di essi si scorgono nei dettagli della vita quotidiana, come le onnipresenti locandine della Blue-Yellow, una ong attiva nell’acquisto di armi da inviare all’Ucraina che è riuscita a raccogliere, dal 24 febbraio, ben 33 milioni: circa 12 euro per ogni lituano. Altri simboli, invece, hanno una portata plateale. Sulla sommità del grattacielo del municipio di Vilnius, una grande scritta si erge alta sulla capitale del Paese: “Putin, l’Aia ti sta aspettando”. Anche la Russia, però, lancia i suoi segnali. Ben visibile dal sobborgo lituano di Panemuné, un’enorme “Z” è comparsa sulla parete di un edificio della cittadina russa di Sovetsk. Il segno di riconoscimento delle forze armate di Mosca sul suolo ucraino, dice un’anziana che abita lì di fronte, è stato disegnato non molto tempo dopo l’invasione.

Il governo lituano e gli alleati della Nato, però, si preparano a scenari che vanno ben al di là delle sole provocazioni simboliche. Per vederlo di persona, bisogna spostarsi nel cuore del Paese e varcare i cancelli della base militare internazionale di Rukla dove, dal 2017, sei nazioni Nato hanno schierato un contingente ritenuto essenziale affinché la Lituania possa reggere l’urto di un’eventuale aggressione russa. Al comando di questo battaglione allargato, che conta fino a 1.700 unità per 800 veicoli, c’è la Germania. Fra il 14 e il 21 febbraio, in piena crisi diplomatica, Berlino ha aumentato la sua personale presenza portandola da 600 a circa 1.000 uomini. Pochi giorni dopo, la situazione è radicalmente cambiata. “Il 24 febbraio è stato un momento di svolta non solo per l’Europa, ma anche per il battaglione: oggi siamo ancora più concentrati e focalizzati di prima”, afferma il tenente colonnello Daniel Andrä, comandante uscente della base di Rukla, a margine della prima rotazione delle truppe dall’invasione. “Posso assicurarvi che la Nato ha buoni piani da parte se qualcosa dovesse accadere”, risponde quando gli viene chiesto delle vulnerabilità del territorio lituano descritte in vari studi. “Al momento, non ci sono segnali di preparativi russi di un attacco sul suolo Nato – aggiunge -, ma la postura dell’Alleanza sul fianco orientale si è rafforzata e, in seguito al summit di Madrid, avremo a disposizione più forze se qualcosa dovesse succedere, in particolare nel Suwalki gap. Per quanto mi riguarda, la Nato e la Lituania sono pronte a tutto”.

Alla cerimonia del passaggio di consegne, di fronte allo schieramento di tutti gli uomini e dei principali mezzi in forza alla base, è presente anche il viceministro della Difesa lituano, Žilvinas Tomkus. “Da febbraio la base di Rukla ha visto un incremento del 25% delle sue unità. Ora, però, non dobbiamo rafforzare solo la nostra capacità di deterrenza, ma anche quella di difesa – dice Tomkus a Ilfattoquotidiano.it – Per questo al Nato summit (di Madrid, ndr) si è deciso di potenziare tutti i gruppi tattici sul fianco orientale e di portarli dal livello di battaglione a quello di brigata nelle tre repubbliche baltiche”. Dopo l’invasione in Ucraina, aggiunge il viceministro, “pensiamo che il livello della nostra sicurezza sia peggiorato”. La Russia, infatti, aveva già cercato di sviluppare le sue capacità militari, ma “dopo l’invasione in Ucraina la situazione è cambiata completamente”, afferma Tomkus, “perché è diventata chiara l’intenzione di usare queste forze contro uno Stato sovrano”.

La sensazione di minaccia che provano i lituani è giustificata da una storica esposizione del loro territorio alla Russia. Nel 2016, prima del potenziamento della Nato nell’area del Baltico, uno studio del think-tank americano Rand Corporation aveva calcolato che un attacco militare russo avrebbe potuto raggiungere le capitali di Lettonia o Estonia entro 60 ore. “Se quello studio venisse rielaborato oggi, penso che i risultati sarebbero diversi, ma non necessariamente ribaltati” in favore della Nato, afferma David Shlapak, primo autore di quell’analisi pubblicata dalla Rand. Shlapak resta convinto che un eventuale conflitto fra la Russia e l’alleanza Atlantica avrebbe luogo nelle repubbliche baltiche, per quanto al momento resti improbabile. Questo perché i tre Paesi confinano direttamente con la Russia e offrono a Mosca le maggiori probabilità di creare un’iniziale superiorità numerica. Tale attacco, dice il senior researcher, avrebbe l’obiettivo di mettere alla prova l’unità della Nato, in uno scenario in cui gli alleati sarebbero costretti a intervenire in una difesa particolarmente difficile.

In caso di aggressione, “le forze dell’Alleanza che abbiamo schierate sul terreno sono la migliore prova di unità”, afferma il direttore della Defence Policy presso il ministero della Difesa lituano, Vaidotas Urbelis. “La maggioranza dei membri della Nato ha una sua presenza militare nelle tre repubbliche baltiche – aggiunge -, non si esporrebbero le proprie truppe al pericolo se non si fosse pronti ad usarle. Questo schieramento, dunque, dimostra una volontà politica”. La speranza, però, è quella di evitare il conflitto utilizzando l’arma preventiva della deterrenza. Proprio per questo, ai critici dell’incremento delle spese militari, Urbelis dice: “Se volete la pace, preparatevi per la guerra. È una massima latina che resta ancora valida”.

A poca distanza dal ministero, nella piazza della Cattedrale di Vilnius, si manifesta ogni lunedì, avvolti nel blu e nel giallo dell’Ucraina, ma non è un movimento per la pace ad ogni condizione. “Siamo arrivati alla 18esima manifestazione e continueremo finché la guerra non finirà con la vittoria dell’Ucraina”, dice lo scrittore e giornalista Arkadijus Vinokuras, fra i principali promotori dell’evento. Vinokuras è scettico sulla possibilità di un compromesso con Mosca: “L’Ucraina si oppone a una Russia fascista. Non potrà esserci un nuovo accordo di Minsk perché avremmo una nuova guerra dopo due o tre anni”. Invece, “se Putin perderà, anzi, quando perderà, si ridurrà anche il suo potere”.

Chi ricorda in prima persona il periodo sovietico in Lituania osserva gli eventi di questi ultimi mesi con un particolare senso di consapevolezza. “I russi non cambiano mai”, afferma un uomo mentre affumica il pesce su un molo di Nida, affacciato al versante russo della penisola curlandese. Ha 62 anni, si chiama Rimvydas e ricorda molto bene la conquista dell’indipendenza dall’Unione sovietica del 1990. “Penso che il ritorno della Russia potrebbe essere anche peggiore”, dice prima di sorprendersi quando gli chiediamo il perché. “Non vedi quello che sta succedendo in Ucraina? Vogliono cancellarla dalle mappe”.

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