Una lettera aperta perché si chiedono “come sia possibile che chi quella realtà non la conosce possa professarsi indignato o ergersi a risolutore”. In altri termini, per denunciare che le migrazioni sono un “tema complesso” e “politico” da affrontare “nel corso delle legislature e a livello transnazionale”, ma non un “un trend da tirare fuori in campagna elettorale”. A firmarla e a inviarla a Repubblica è un medico dell’hotspot di Lampedusa, l’avellinese Angelo Farina, insieme ad alcuni colleghi che non hanno però reso nota la loro identità.

La nota del sanitario, in servizio negli scorsi mesi sull’isola più a sud d’Italia, arriva nel pieno della battaglia per le prossime Politiche, con i leader del centrodestra – Giorgia Meloni in testa – che hanno già rispolverato il tema del “blocco navale”. Farina è molto chiaro: “Non è all’empatia ma al buonsenso che faccio appello”. Perché è “straniante per noi medici ascoltare il frastuono del dibattito elettorale”.

“Conosciamo e abbiamo sentito più volte la frase ‘le migrazioni sono un tema complesso’ – si legge nella lettera – Lontani dal pensare che la complessità non possa essere affrontata in politica, crediamo che al delinearsi di un secondo fine, l’elemento campagna elettorale, il frastuono debba essere chiamato per quello che è: mera strumentalizzazione”.

Quindi i dati: “A fronte degli ingressi negli ultimi tre anni, di cui il Ministero comunica il dato riferito a tutte le coste italiane ma una stima ci dice che circa il 40 per cento avviene sull’isola di Lampedusa, abbiamo avuto 15.000 ingressi nel 2020 su 35.000 totali, 30.000 su 67.000 nel 2021. Ad ora, a Lampedusa, sono 22.000 su 49.000 gli sbarchi del 2022″, ricorda il medico. “In Italia siamo 59 milioni, una media di 7.000 a comune. Ciò significa che ogni sindaco avrebbe da ‘sostenere l’impatto’ di 2 persone, 4 totali, nel 2020, meno di 4 persone su 7 totali nel 2021 e ad ora 3 persone su 6 nel 2022. Si dovrebbe parlare di questi numeri, di questi dati, prima di affrontare ogni discorso elettorale sul tema immigrazione”, continua. Anche perché, sottolinea, “sono numeri ridicoli” che “rendono ridicola la rappresentazione di ‘invasione’ e ‘difesa dei confini'”.

Ai numeri “inconfutabili”, scrive ancora, “va aggiunto che queste sei persone sono diseredati di ogni sorta, privati quasi sempre dei propri diritti basilari, praticamente sempre di quello alla salute”. Nel dettaglio: “Uno è un minore non accompagnato, uno viene dal Bangladesh e ti sorride anche se lo insulti, una è una donna, e in percentuale sorprendentemente alta questa donna è anche incinta. Gli altri tre sono i nostri nonni che partivano per le Americhe, hanno le stesse speranze, gli stessi occhi”.

Quindi Farina si concentra sul funzionamento del sistema di accoglienza dopo lo sbarco: “Innanzitutto, lo possono confermare tutti i turisti che affollano l’isola d’estate, a Lampedusa non vedrete un solo migrante. Tutte le persone arrivate vengono convogliate verso l’hotspot. Nell’hotspot il processo è: tampone Covid, fotosegnalamento e pre-identificazione”. Un processo, “consolidato” che grazie al lavoro di Digos e Squadra Mobile “vanifica la frase ricorrente: ‘sono tutti delinquenti'” perché “chi ha precedenti penali, non solo sul territorio italiano, c’è infatti una rete internazionale ben collaudata, riceve un blocco e non entra in Italia”.

All’interno dell’hotspot parte lo screening e la “prima assistenza sanitaria”, puntualizza Farina: “Dal punto di vista medico le patologie ricorrenti in hotspot sono malformazioni, esiti di traumi, infezioni dermatologiche: frequente è la scabbia, ancora di più le infezioni batteriche della cute. Sono rari i casi di infezioni sistemiche. Da novembre non ho visto pazienti ammalati di tifo né di malaria. Di tubercolosi attiva si registrano 1-2 casi al mese”. Quindi l’aspetto del collasso, come avvenuto a luglio, del centro di Lampedusa: “Succede ogni anno, d’estate, che il sistema vada al collasso. Sottolineo che è il sistema hotspot a collassare, non Lampedusa, che continua a nutrirsi insaziabilmente del suo turismo senza che nulla succeda al di fuori dei cancelli dell’hotspot”.

Dentro, il centro è arrivato a ospitare 2.100 persone a fronte di 310 posti letto con servizi igienici scarsi numericamente e condizioni sanitarie inenarrabili: “Per noi medici ha significato 14 ore di assistenza continua al giorno senza pause, neanche il tempo di bere un bicchier d’acqua. L’ex sindaco dell’isola Giusy Nicolini si è occupata di denunciare pubblicamente il grave disservizio. Noi medici ci siamo sentiti impotenti nella gestione di questi numeri. Abbiamo riferito alle istituzioni che nelle condizioni di sovraffollamento dell’hotspot non vengono garantiti il diritto alla salute, diritto fondante della costituzione del Who e l’articolo 32 della nostra Costituzione”.

Il responsabile? Farina non usa mezzi termini: “Per noi, senza troppi giri di parole, il responsabile di queste violazioni è lo Stato Italiano stesso. La vicenda di inizio luglio è stata (e continua a essere, ogni estate) insopportabile per le persone tenute stipate come sardine in un centro di presunta accoglienza e quindi per tutti noi italiani che crediamo in uno Stato giusto ed equo”. Il problema, conclude, è “strutturale” ed è legato all’approccio “emergenziale rivolto a qualcosa che viene considerata minaccia”.

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