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A Ginevra c’era una volta il salone dell’auto più bello del mondo. Poi è stato portato in Qatar

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di Carblogger

Ginevra, c’era una volta il Salone dell’auto più bello del mondo. Il più bello del mondo perché alla sua Tavola Rotonda erano ammessi tutti i costruttori, anche i cinesi quando i cinesi non contavano nulla e altrove finivano nelle segrete del castello. Succedeva perché nel Paese ospitante non si produceva nemmeno una vite per auto e dunque nessuno era Primo Cavaliere.

Di Ginevra ci innamorammo tutti perdutamente, come Lancillotto. Di un amore inconfessabile quando sbarcavamo a Detroit o a Francoforte. Era già stato molto più di un amor cortese per i costruttori italiani, che nei decenni precedenti avevano tradito Torino per lì presentare 600, Duetto o Miura.

E’ questa la Ginevra oggi cancellata per la quarta volta consecutiva e portata in un castello abbandonato da Meleagant nel lontano Qatar. Ma sarebbe sufficiente un Lancillotto Primo Cavaliere per farla tornare a noi?

Chrétien de Troyes non l’avrebbe mai scritta così: follow the money. Diciamolo: Ginevra è stata imprigionata laggiù perché in Europa i costruttori non volevano più sedere alla Tavola Rotonda, pensando che il biglietto non valesse più i soldi spesi. Meglio sterzare su singole presentazioni di novità a casa propria, meno onerose e dal ritorno mediatico più diretto. Era tendenza, e il Covid ha dato uno spintone, mentre i cinesi esperti di lunga marcia sanno bene arrangiarsi per conto loro. Domani si vedrà.

Ginevra anzi è stata accusata ancora una volta di tradimento, di non aver saputo rinnovarsi nella sua forma-salone. Ma che significa cambiare nel terzo millennio? A Ginevra eravamo piuttosto nel nostro Camelot, dove incrociare spade e saperi con il top management mondiale dell’industria dell’auto, soltanto dopo veniva il pubblico a vedere e non toccare le auto. E se la gente ora lo può fare in poltrona con una buona connessione e semmai scendendo a guidare la novità nel concessionario sotto casa, perché fare ancora un Salone a pagamento per il pubblico?

Per noi che incrociavamo le bic, invece, è bastato che il nuovo Re Artù fosse internet per diventare non necessari in presenza.

Nella disintermediazione che governerà sempre di più ogni tipo di business, che ci fanno i costruttori con l’ultimo modello sullo stand di un Salone da recitare in dieci minuti dal manager di turno e spendere decine di migliaia di euro per invitare i media? Molto meglio per la conoscenza affidarsi all’influencer da un milione di fan che su TikTok magari balla sul cofano dell’ultimo suv o che su Twitter siede compito davanti a una plancia spaziale a spiegarne il funzionamento. Un altro click, e volendo si ottiene pure una intervista a distanza.

Era vero amour fou. Ma Ginevra fu condannata a morte per il suo amore adultero, Lancillotto finì i suoi giorni da eremita. Niente fibra.

@carblogger_it

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