Poco più di ventiquattr’ore alla scadenza e né il centrodestra né il centrosinistra hanno definito le liste da presentare nei minimi dettagli. La “colpa”? In entrambi i casi è della Basilicata, protagonista di giornata. La coalizione Fdi-Lega-Forza Italia è in alto mare, principalmente a causa dei berlusconiani stretti nei 42 seggi a disposizione negli uninominali e con il rebus Casellati, stretta tra Veneto e Lucania, da risolvere; mentre il Pd si è ritrovato a dover gestire il caso La Regina e quindi a “ripescare” Enzo Amendola con una reazione a catena che ha spostato Filippo Sensi e aperto spazio a Rossella Muroni. Un tetris che alla fine risolve più di qualche problema a Enrico Letta con due figure di peso del partito che si erano ritrovati in seggi non proprio comodi. Ma non è finita, perché Italia Viva ha ripescato un vecchio post di un’altra giovane dem – Rachele Scarpa – che rischia di far scoppiare una nuova grana in extremis. Mentre anche Azione non se la passa bene a causa della scelta di imbarcare l’ex sottosegretario Massimo Cassano (e i suoi fedelissimi) in Puglia: una decisione contestata dalla base, perché il leader di Puglia Popolare e direttore generale dell’Arpal fino a sabato mattina supportava la maggioranza di Michele Emiliano e ora andrà a infarcire, insieme ai suoi uomini, le liste di Carlo Calenda e Matteo Renzi che contro il governatore della Puglia sparano ad alzo zero da anni. E intanto in Basilicata il duo centrista ha scelto di candidare al Senato Marcello Pittella, politico di lunghissimo corso (la prima elezione nel suo comune, Lauria, risale al 1993 con il Psi) ed ex governatore dem e attuale consigliere di minoranza che si è ritrovato tagliato fuori dalle liste del Pd ed è subito stato riciclato da Azione-Iv, alla perenne caccia di ‘ras’ delle preferenze sui territori.

Il caso La Regina (e trema Scarpa) – Quella frase assai “pesante” (“Gli alieni e lo Stato d’Israele hanno un punto in comune: non esistono”) alla fine ha costretto il segretario regionale del Pd in Basilicata, La Regina, a cedere il suo posto. Ci ha messo circa quattro ore per prendere atto che il “caso” era troppo pesante per superarlo indenne e quindi ha rinunciato alla candidatura alla Camera, facendo spazio al sottosegretario agli Affari europei Amendola. Ma per un caso – quello di La Regina – che si chiude davvero, un altro sembra destinato a riaprirsi con gli stessi protagonisti: Israele da una parte e Rachele Scarpa – candidata del Pd in Veneto – dall’altra. Dopo la “tempesta” di venerdì – successiva alla pubblicazione di un articolo su Il Giornale che ha riportato alla luce il meme di La Regina, scritto nel 2020 – le scuse dell’interessato e l’intervento dello stesso segretario del Pd, Enrico Letta, che aveva dichiarato il caso “chiuso”, sabato mattina la posizione del giovane segretario lucano del Pd appariva molto più sfumata. Al punto che, intorno alla 10, replicando a voci che pronosticavano o sollecitavano la sua rinuncia, La Regina ha risposto con decisione: “Nessun passo indietro, stiamo lavorando alla campagna elettorale con passione e determinazioni”. Addirittura, un accenno di programma: “Giovani e Sud saranno il motore della crescita del Paese. Andiamo avanti!”.

La reazione a catena – Cosa sia successo fra questo tweet e quello delle 14, quando La Regina ha annunciato di rinunciare alla candidatura – “perché il Pd viene prima di tutto” – forse non si saprà mai con certezza. Ma è evidente che le pressioni sono diventate insostenibili. Quindi l’indicazione di Amendola che ha ha accettato dicendosi al “servizio della nostra comunità” dopo essere stato a un passo dal rinunciare alla prima candidatura perché scontento. Da qui la reazione a catena: il posto 3 in Campania 1 al Senato che era di Amendola è stato piazzato Sensi, presente anche a Lazio 2 a Palazzo Madama. L’ex portavoce di Gentiloni cede la non facile candidatura all’uninominale di Roma 3 del Senato all’assessore comunale Andrea Catarci (Verdi-Sinistra). Al Pd torna quindi il seggio di Roma 3 della Camera, assegnato inizialmente alla coalizione, dove il segretario Letta ha scelto di far correre l’ex presidente di Legambiente Muroni.

Alta tensione in Fi e rebus Casellati – Le fibrillazioni del Pd sono nulla in confronto alle tensioni dentro Forza Italia: i tempi sono ormai strettissimi – lunedì alle 20 vanno depositate le candidature – ma fino ad ora non è bastata una maratona no stop, notte compresa, per uscire dallo stallo e chiudere la partita. La trattativa prosegue a singhiozzi, in mezzo ai veleni. Pochi posti, molti fedelissimi pretendenti. Ci sono malumori in Veneto, legati soprattutto alle scelte dei vertici del partito sulla griglia dei nomi, a cominciare dalla decisione di ‘dirottare’ nell’uninominale della Basilicata la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, eletta nel 2018 in Veneto, circoscrizione 1. Nel collegio di Padova – ora Veneto 2 secondo le modifiche dovute al taglio del numero dei parlamentari – dovrebbe candidarsi la bolognese Annamaria Bernini, capogruppo al Senato azzurro. Una situazione che ha portato il vice-coordinatore regionale Dario Bond a lasciare il suo incarico: “Sono in Forza Italia dall’inizio, e così non si può andare avanti”, ha detto. Mal di pancia anche in Basilicata ma soprattutto nel Lazio e anche in Lombardia dove si preannunciano esclusioni eccellenti per il ‘sovraffollamento’ degli uscenti.

Un’altra notte di trattative – Allo stato, dunque, ancora nessuna fumata bianca e tutto lascia pensare che ci sarà bisogna di una nuova notte di contrattazione per arrivare a depositare le liste domenica mattina. Intanto, le voci corrono e si fanno sempre più insistenti quelle su una possibile candidatura, in quota Fi, per il presidente della Lazio Claudio Lotito nel maggioritario del Senato in Molise (il collegio uninominale della Camera spetterebbe a Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, posto ‘garantito’ ai centristi da Fratelli d’Italia). Secondo questo schema, raccontano, avrebbe poche possibilità di essere rieletta la deputata Annaelsa Tartaglione, attuale coordinatrice regionale del partito, anche perché se dovesse correre come capolista nel proporzionale della Camera, questo sarebbe un posto considerato perdente.

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