Il 9 agosto scorso, il Tribunale penale specializzato saudita ha condannato l’attivista per i diritti umani Salma Al-Shabab a 34 anni di prigione. E’ la più alta condanna comminata ad un’attivista per i diritti umani nella stoia del Paese. La donna, sciita- minoranza repressa in Arabia Saudita- dottoranda di ricerca all’università di Leeds e madre di due figlie, è stata incriminata per un tweet nel quale rivendicava diritti e libertà e che per il Paese guidato dal principe saudita Mohammed Bin Salman, “minava la stabilità e metteva in giro voci tendenziose su Twitter”.

Dopo essere stata arrestata il 15 gennaio del 2021 durante una vacanza e aver subito 285 giorni di interrogatorio , Salma Al-Shabab ha dovuto affrontare un iter giudiziario che l’ha vista prima condannata in primo grado a 6 anni di carcere, e poi a 34 in appello. Quello di Salma Al- Shabab è solo uno dei centinaia di casi di giovani incriminati per aver rivendicato diritti e libertà sui social network, come denunciato da ogn come Amnesty Interanational. Nonostante Joe Biden abbia dichiarato di aver sottoposto al principe saudita il problema del rispetto dei diritti umani nel suo Paese nel suo ultimo incontro a Jeddah in occasione del summit Gulf Cooperation Council di luglio, la situazione non sembra essere cambiata di un millimetro, anzi. La libertà di stampa e di pensiero soprattutto delle donne, subisce ogni giorno in Arabia Saudita, in quello che qualcuno ha definito “Risorgimento saudita”, importanti restrizioni.

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