Il 27 luglio centinaia di sostenitori di Muqtada al Sadr, leader sciita del Movimento Sadrista in Iraq, hanno preso d’assalto la sede del parlamento a Baghdad per protestare contro la candidatura a primo ministro di Mohammed Shia al Sudani, esponente del partito capeggiato dall’ex premier Nouri al Maliki e sostenuto dall’Alleanza del Quadro di Coordinamento (Cfa), una coalizione di partiti filo-iraniani. I manifestanti sono riusciti a penetrare nella cosiddetta Green Zone, sede degli edifici governativi, per urlare il loro malcontento verso lo stallo politico che perdura da quasi un anno. Il primo ministro Mustafa al Kadhimi ha invitato i manifestanti a “ritirarsi immediatamente” dalla Green Zone e ha dichiarato che le forze di sicurezza si occuperanno della “protezione delle istituzioni statali” impedendo “qualsiasi danno alla sicurezza e all’ordine“. La rappresentanza dell’Onu in Iraq si è detta “preoccupata per ogni tipo di violenza nelle manifestazioni” nel Paese, ma ha ribadito la necessità di proteggere il diritto dei cittadini a manifestare in maniera pacifica. Dopo la riuscita irruzione nel parlamento iracheno, Moqtada al Sadr ha chiesto ai suoi sostenitori, con un tweet, di lasciare l’edificio e tornare alle loro case, a dimostrazione della sua influenza popolare e politica.

Al-Sudani rappresenta solo una scusa molto conveniente per al Sadr per esprimere la sua avversione verso l’intero sistema politico in Iraq“, ha detto ad Al Jazeera Marsin Alshamary, un ricercatore della Harvard Kennedy School. “Lo avrebbe fatto se qualcun altro fosse stato nominato. Al Sudani in realtà rappresenta una delle figure meno controverse” del fronte filo-iraniano. Nelle elezioni dello scorso ottobre il Movimento Sadrista era riuscito ad ottenere 74 seggi sui 329 complessivi, risultando primo partito nel Paese. I risultati delle elezioni erano però stati contestati dalle forze politiche più vicine a Teheran che avevano manifestato il loro dissenso in modo violento, accusando brogli elettorali e innescando gli episodi di violenza culminati poi nel tentato omicidio del primo ministro al Khadimi, di cui ad oggi non si conoscono i mandanti. Dopo il voto, i colloqui per formare un nuovo governo si sono quindi bloccati portando alla crisi politica in corso. Lo scorso giugno al Sadr ha poi ordinato al suo gruppo parlamentare di dimettersi in massa in segno di protesta contro un parlamento che non era riuscito a trovare un accordo su un esecutivo dopo più di otto mesi di tentativi. Il 23 giugno il parlamento ha però sostituito i posti vacanti con quelli dell’alleanza filo-iraniana, portando quest’ultima ad una maggioranza di 122 seggi e aprendo alla possibilità di formare un nuovo governo, dal quale rimaneva, di conseguenza, esclusa la prima forza politica del Paese.

Le manifestazioni arrivano infatti pochi giorni prima della sessione del parlamento di sabato 30 luglio, durante la quale dovrebbe essere eletto il prossimo presidente, il quale poi nominerà il primo ministro per formare un nuovo governo appoggiato dall’Alleanza filo-iraniana. Pertanto, le manifestazioni dei sostenitori di al Sadr sono arrivate come un messaggio di rifiuto da parte del loro leader del candidato del partito di Nouri al Maliki. Secondo quanto riporta il quotidiano arabo al Quds al Arabi, tenere una sessione per votare la fiducia ad un governo guidato da al Sudani sarà considerata una forte sfida per al Sadr e i suoi sostenitori, che minaccia in tal caso di provocare il caos. Tuttavia, i partiti filo-iraniani hanno sottolineato che le manifestazioni di mercoledì non influiranno sugli sforzi della coalizione per formare il governo e hanno ribadito, in una dichiarazione rilasciata nella mattina del 28 luglio, il loro impegno a proseguire su questa strada.
La crisi politica è però strutturale, ed è soprattutto il risultato del sistema del “consociativismo confessionale” basato sull’accordo della “muhasasa”(introdotto nel Paese dopo l’invasione degli Stati Uniti del 2003), che si fonda sulla condivisione del potere etno-settaria tra gruppi sciiti, sunniti e curdi. Un “governo di maggioranza nazionale”, voluto da al Sadr ma avversato dai partiti filo-iraniani, sarebbe stato infatti una deviazione senza precedenti da tale accordo che avrebbe inferto un duro colpo all‘influenza politica dell’Iran in Iraq, visto che Teheran di solito sostiene i gruppi sciiti in modo tale da avere una “sua” maggioranza nel parlamento di Baghdad. Nonostante quindi la vittoria elettorale di al Sadr, la legge irachena richiede una super maggioranza di due terzi per eleggere un presidente, cosa che lui non aveva. Di conseguenza un governo, che deve essere presieduto da un sunnita, può essere formato solo una volta eletto un presidente, che deve essere di etnia curda. L’incidente di mercoledì è un implicito avvertimento di una potenziale escalation in arrivo nel caso si dovesse formare un governo con al Sudani alla sua guida. “Un gioco molto pericoloso”, ha spiegato Yerevan Saeed dell’Arab Gulf States Institute di Washington ad Al Jazeera, concludendo: “Potrebbe far precipitare il paese in un conflitto civile tra gli sciiti”.
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