“Starò con le persone discriminate per l’orientamento sessuale e per l’identità di genere, con i consumatori che vengono arrestati se anziché andare dallo spacciatore coltivano cannabis, starò con chi non ha reddito, con chi non ha cittadinanza, chi non ha diritti”. Con un discorso che sembra incollato dal manifesto di un collettivo studentesco di sinistra, l’ex pasdaran berlusconiano Elio Vito si è dimesso da deputato della Repubblica dopo otto legislature. Due decenni ininterrotti in cui è stato uno dei più fidati colonnelli dell’uomo di Arcore a palazzo Chigi, prima da capogruppo di Forza Italia (2001-2008) e poi da ministro per i Rapporti con il Parlamento (2008-2011), e in quanto tale alfiere del suo verbo fatto di leggi ad personam e attacchi ai giudici. Salvo poi, negli ultimi anni, buttarsi anima e corpo nella battaglia per i diritti Lgbt+ e la moralità della politica, a colpi di polemiche scomode su Twitter (spesso dirette verso i compagni di coalizione) che lo hanno reso una specie di icona social molto più popolare a sinistra che a destra. “Ma le mie idee sono state sempre quelle, fin dagli anni Ottanta”, dice lui al fattoquotidiano.it. “Certo, quand’ero capogruppo ero meno netto nell’esprimerle, dovevo tenere conto anche della posizione del partito. Ora sono più libero e dico quello che penso”. Il casus che lo ha convinto a dimettersi dal gruppo (e dal Parlamento) è l’appoggio di Forza Italia al candidato sindaco di Lucca apparentato con Casapound. Ma la scelta arriva dopo mesi di posizioni disallineate da quelle del gruppo, a partire dal voto a favore del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia affossato al Senato.

Le sue dimissioni sono le prime nella storia che la Camera accoglie subito, senza dover ripetere nemmeno una votazione. Altri, come Guido Crosetto, hanno dovuto provarci per tre volte. Se lo aspettava?

Sì, perché conosco questo centrodestra intollerante e illiberale, e so che per me non c’era più spazio. Se non fosse stato così non mi sarei dimesso: non l’ho fatto mica per scherzo. Hanno confermato di essere come li ho descritti nella lettera di dimissioni che ho inviato al presidente della Camera.

Leggiamola: “Forza Italia ha perso la sua natura di movimento politico leaderistico, liberale e democratico – ha incalzato dopo che nelle scorse ore aveva fatto sapere di aver scritto a Silvio Berlusconi -. La sua classe dirigente si è chiusa in una gestione accentrata ed esclusiva del potere e le voci critiche sono state messe al bando, silenziate ed escluse dagli strumenti di comunicazione”. Addirittura?

Certo, se no non me ne sarei andato. In passato Forza Italia era una cosa diversa. Ma parliamoci chiaro, ho buoni rapporti con tutti. Mai litigato con nessuno.

Il suo collega Andrea Orsini, però, l’ha accusato in Aula di aver “rappresentato in modo caricaturale” il gruppo parlamentare di cui è stato a capo.

Non l’ho nemmeno sentito, sono uscito dopo aver fatto il mio discorso. Ma non mi sorprende. Il voto era segreto, ma sono sicuro che quasi tutti i 225 che si sono espressi per le dimissioni venivano dal centrodestra, quasi tutti i 157 contrari dal centrosinistra. Però le posso dire? È meglio così. Se avessero votato per farmi restare mi avrebbero smentito, dimostrando che sono più tolleranti e liberali di quanto pensavo. Poi avrei dovuto iscrivermi a un altro gruppo, fare la figura del transfugo, non mi sarebbe piaciuto. Io ho detto fin dall’inizio che le mie dimissioni dal gruppo andavano insieme alle dimissioni dal seggio. E mi sono reso conto che questo gesto mi ha portato apprezzamento e stima.

C’è qualcosa di cui si pente del suo passato berlusconiano? Le leggi ad personam, Ruby nipote di Mubarak?

Le leggi ad personam mica le ho fatte io! E quel voto non era su Ruby, era più complicato, era sulle prerogative del presidente del Consiglio.

Però la Camera ha sostenuto che Berlusconi chiamava in Questura per motivi istituzionali, per tutelare i rapporti con l’Egitto. E lei era ministro per i Rapporti con il Parlamento.

Questa è una deduzione sua. Io rivoterei nello stesso modo.

Sulle scale del Palazzo di giustizia di Milano a contestare i giudici c’era anche lei?

Un po’ in disparte.

Ci riandrebbe col senno del poi?

Dipende dal contesto. Non esiste il senno del poi, le cose si valutano nel momento in cui le fai. È un discorso che non si può fare.

Adesso cosa farà?

Intanto oggi vado a una manifestazione antiproibizionista davanti a Montecitorio per la legge sulla cannabis. Come ho detto in Aula, continuerò a fare politica lottando per i diritti.

E alle prossime politiche sarà candidato?

Vedremo, vedremo. Non lo escludo, ma non lo do nemmeno per certo.

Se ci sarà, sarà con un partito di centrodestra?

Assolutamente no. Certo che no, sono uscito da Forza Italia perché di questo centrodestra non mi piace niente.

Potrebbe essere con una forza di centrosinistra?

Vediamo, vediamo. Perché no. Ma ora è prematuro, mi sono dimesso da due ore… può scrivere che voglio continuare a fare politica.

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