Che cosa c’entra l’elezione del “cane più brutto del mondo” con l’epoca forse più sciagurata dell’intera vicenda umana, cioè la nostra? C’entra eccome, perché il diavolo si nasconde nei dettagli e talvolta un episodio apparentemente innocuo può svelare la degradazione generale. Partiamo dal dato più semplice, quello etico: è squallido utilizzare degli animali, deformi spesso in virtù di patologie gravi, per contribuire alle luci sfavillanti ma artificiali della società dello spettacolo. Squallido, ridicolo e misero, considerato che l’animale è stato anche oltraggiato col nomignolo rivoltante di “signor faccia felice” (Mr happy face).

Pochissimi giorni fa è avvenuta questa manifestazione negli Stati Uniti, con la “vittoria” di un cane deforme e malato seguita dalla gioia incontenibile dei padroni, evidentemente entusiasti di aver guadagnato il quarto d’ora di celebrità sulle spalle del loro animale che – certo, in quanto animale – non valuta mai i propri padroni in base ai canoni della bellezza (o della ricchezza).

Siamo entrati mani e piedi in un’epoca folle in cui “l’economia onnipotente – per riprendere le parole di Guy Debord – ha cominciato apertamente a fare guerra agli umani”. Innanzitutto spogliandoli della loro umanità, non soltanto emotiva ma anche cognitiva. In questo modo ci ha trasformati in militari di una guerra combattuta contro noi stessi. “L’uomo alienato della società dei consumi – scriveva Baudrillard nel 1974 – non è soltanto un uomo impoverito e diminuito, è un uomo stravolto, mutato in male e in nemico di se stesso”. Sì, perché non si tratta “soltanto” di aver aderito alla dinamica miserevole di prendersi gioco degli animali deformi e malati – a proposito: dove sono gli animalisti? – in nome di uno show business che ci chiede di trasformare la nostra umanità in uno strumento per obiettivi che sono quelli del profitto e dello spettacolo.

La triste e vergognosa vicenda di “Mr happy face”, infatti, svela un ulteriore elemento di degradazione generale della nostra società. Questo elemento riguarda il fatto che il brutto, il deforme, il malato, l’osceno nel senso più ampio del termine sono diventati elementi che conferiscono visibilità e successo all’interno di una scena comune (un tempo si sarebbe detto “sfera pubblica”) ormai esplosa, annichilita, spogliata delle principali caratteristiche dell’uomo: buon senso, empatia, dignità. Sì, esattamente come è accaduto al povero cane dalla “faccia felice”, tutti noi ci siamo lasciati trasformare in mostri che bramano i like, il consenso, il successo, la visibilità e al limite il voto elettorale sapendo che potremo ottenere queste cose quanto più riusciremo nell’impresa di risultare osceni, indecenti, volgari e spietati. Nella guerra assurda e degradante per ottenere like e follower, infatti, la pacatezza, il ragionamento, il buon senso e la capacità di dialogare con chi è su posizioni lontane dalle nostre risultano essere armi ormai spuntate.

Non colpiscono, non attirano l’attenzione, non ti fanno risaltare rispetto al liquido magmatico di sangue e merda che scorre copioso nel sistema mediatico. La maggior parte delle persone sa benissimo che in uno scenario siffatto, non potendo o non riuscendo per varie ragioni a produrre bellezza, conoscenza, dialogo ed empatia, se si desidera ottenere successo – o anche soltanto un quarto d’ora di celebrità – occorre trasformarsi nel cane più brutto del mondo e nei suoi discutibili padroni. Un sistema di tal fatta regalerà sempre visibilità – e quindi follower, quindi tornaconto economico – a un Mario Adinolfi che sale alle luci della cronaca per non aver preso neppure un voto nella città in cui si è candidato a sindaco. Elementi alla stregua di Vittorio Sgarbi e simili sono diventati personaggi di successo grazie a queste modalità degradanti.

Il guaio grosso, però, è che se a essere disposti a trasformarsi nel cane più brutto del mondo sono anche i filosofi, gli scienziati, i politici, in generale gli intellettuali a cui è dato il compito di formare e guidare l’opinione pubblica, al posto di figure esemplari e votate alla “verità” ci ritroveremo (e ci ritroviamo) scaltri opportunisti disposti a sostenere qualunque scempiaggine o tesi irresponsabile pur di fare notizia, ottenere un’ospitata in televisione e aumentare il proprio potere di influencer. Perché ormai soltanto questo conta, se vuoi continuare ad avere uno spazio in quella che Paul Goodman chiamava la “società vuota”, cioè riempita di meccanismi economici e tecnologici ma svuotata di esseri umani.

Pensiamoci soltanto per un attimo, quando accendiamo la televisione o navighiamo in rete, a quante di queste sciagurate “facce felici” ci ritroviamo a dover ascoltare perché questo sistema mediatico dà spazio ormai soltanto a due tipologie: i soliti privilegiati e gli indecenti (perché fanno audience). In un contesto del genere, è quasi impossibile ragionare in termini sensati sulle pandemie, le guerre, la salute del pianeta e sulle tante altre emergenze impellenti che ci troviamo a dover affrontare.

La vicenda del povero Mr happy face, insomma, è soltanto uno degli elementi che svelano una società sempre più composta da cani bruttissimi. Per questo votata alla rabbia.

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