Anche se meritevoli, le figure femminili nello spazio pubblico sono sottorappresentate o stereotipate. Un fondo in Emilia-Romagna valorizzerà le tante donne che hanno lasciato un segno nella nostra storia. Le statue erette nello spazio pubblico, oltre che per il proprio valore artistico, sono importanti perché ricordano episodi della nostra storia e personaggi che hanno lasciato un segno per meriti scientifici, civici, artistici. Per questo assurgono anche a modelli valoriali per la comunità. È quindi molto grave che nel nostro paese le statue dedicate a donne meritevoli di essere ricordate siano un’autentica rarità. Ennesima manifestazione dell’“imparità di genere”.

Secondo il censimento condotto dall’associazione di professioniste dei beni culturali Mi Riconosci, le statue pubbliche femminili realizzate tra l’Unità d’Italia e oggi (escludendo le figure allegoriche, mitologiche e sacre), sono circa 190: 80 però sono figure anonime collettive (mondine, partigiane, madri…) e solo 110 quelle intitolate a figure di donne realmente esistite. Da tale censimento risulta inoltre che il 51% delle statue dedicate alle donne è stato realizzato a partire dal 2000. Non va meglio rispetto ad autori e autrici: delle opere che hanno un’attribuzione certa, solo il 5% è stato realizzato da donne, il 4% vede la collaborazione tra autori e autrici, mentre il restante 91% è opera di artisti di genere maschile. Delle opere che rappresentano personaggi realmente esistiti il 31% è dedicato a figure religiose, il 17% a donne e bambine note per essere morte tragicamente, l’8,5% a donne ricordate per il ruolo di benefattrici o per aver salvato vite umane. Solamente il 17% delle statue erette nello spazio pubblico è dedicato a donne celebrate per i loro meriti intellettuali, civici o artistici.

Per contribuire a porre rimedio a questa situazione, che anche in Emilia-Romagna vede le donne penalizzate, ho depositato in assemblea legislativa una risoluzione che impegna la Giunta regionale sia a promuovere una riflessione sull’uso della toponomastica e dello spazio pubblico a fini celebrativi, sia a dare concretezza a questa riflessione istituendo un fondo regionale a sostegno della realizzazione di statuaria pubblica per le persone illustri dedicata in particolare a donne che si siano distinte per meriti professionali, culturali, scientifici, sociali e civici. La risoluzione sottolinea inoltre la necessità di coinvolgere gli enti locali, la cittadinanza e le associazioni interessate all’uso dello spazio pubblico a fini celebrativi con l’obiettivo di individuare donne meritevoli non ancora adeguatamente valorizzate nella statuaria e nella toponomastica.

L’idea di promuovere questa riflessione, supportandola dall’istituzione di un fondo ad hoc, mi è venuta partecipando al convegno inaugurale della mostra di foto “Scolpite”, organizzata a Bologna dall’associazione Donne Fotografe Italiane con l’obiettivo di evidenziare l’assenza di statuaria civica dedicata a figure femminili di alto profilo storico, professionale e biografico. Prima di Bologna, “Scolpite” era stata esposta nel 2021 a Brescia e successivamente a Milano. Dalla mostra e dal censimento emerge non solo la insufficiente valorizzazione delle donne, ma anche una rappresentazione del femminile in gran parte stereotipata, che evidenzia come il problema riguardi anche le modalità con cui sono rappresentate le poche donne scolpite. L’esaltazione del sacrificio e delle attività di cura familiare sono una costante; in alternativa, le donne vengono rappresentate mentre svolgono lavori umili e pesanti – come la lavandaia, esposta a Bologne dal 2001, e ritratta in modo da evidenziare, senza equivoci, lato a e lato b; oppure mentre aspettano il ritorno dei mariti dal lavoro, come la statua dedicata alla “Sposa dei marinai” che si trova nel porto di Rimini. Pochissime donne sono state scelte per meriti intellettuali, professionali, scientifici, sociali.

E quando avviene, anche in questo caso a volte si cade nel triviale spinto e gratuito. Valga per tutti la scultura in bronzo dedicata ad Acquapendente (VT) a Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, le due coraggiose e valentissime giornaliste morte sul lavoro, in uno scenario di guerra, eppure raffigurate come due anonime silfidi qualsiasi, entrambi nude, che intrecciano le mani. Chi lo sa se nel tentativo di sostenersi a vicenda di fronte allo sconforto provato per quella rappresentazione che nulla ha che fare con due reporter giustiziate nel corso di un conflitto bellico. A chi verrebbe mai in mente di dedicare un monumento celebrativo a un Indro Montanelli seduto, nudo ma con le parti intime ben visibili, davanti alla sua immortale Olivetti?

Per fortuna, in questo deserto cominciano a intravvedersi anche segnali incoraggianti. A Milano è stata inaugurata di recente una statua dedicata a Margherita Hack, dopo quella dedicata a Cristina Trivulzio di Belgiojoso, mentre a Firenze il sindaco Nardella ha annunciato che saranno presto erette cinque statue di donne, che comprendono Maria Montessori, Oriana Fallaci, Nilde Iotti e Anna Magnani. Speriamo che anche dalla Regione Emilia-Romagna – grazie alla mia sollecitazione e alla sensibilità sul tema che mi ha manifestato l’assessore alla Cultura Mauro Felicori – arrivi presto un contributo significativo per porre fine alla perversa combinazione di oblio, svalorizzazione e dileggio sessista.

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