Il punto, ha spiegato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, si farà la settimana prossima. Se i tagli alle forniture decisi da Gazprom continueranno, l’Italia potrebbe passare dall’attuale stato di preallerta al livello di allarme, il terzo previsto dal Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale. L’allarme porta con sé la possibilità di avviare misure straordinarie per contenere i consumi e aumentare la produzione nazionale: insomma un razionamento energetico più o meno soft. Perché siamo a questo punto? Gli sforzi per diversificare i fornitori e il buon livello di riempimento degli stoccaggi in vista dell’inverno non necessariamente sono sufficienti in un Paese che produce più di metà della sua energia elettrica utilizzando il gas: un livello record nell’Unione europea, oltre il doppio rispetto alla media. È il combinato disposto tra un mix così sbilanciato e il ruolo cruciale delle importazioni dalla Russia a rendere la Penisola più vulnerabile rispetto per esempio alla Germania, che pure è lo Stato Ue più dipendente dal gas di Mosca. La siccità ci mette del suo, riducendo la produzione idroelettrica.

L’ultimo rapporto mensile dell’Agenzia internazionale dell’energia sulla produzione elettrica, pubblicato due giorni fa, dà un buon quadro della situazione. A marzo 2022, ultimo mese su cui sono disponibili i dati, la quota di elettricità netta prodotta da gas naturale è salita in Italia addirittura al 60%. La media dei 12 mesi tra marzo 2021 e marzo 2022 è stata del 50,4% contro una media europea del 20%. Con quello che comporta sul fronte dei prezzi, vista la fiammata delle quotazioni del gas. E le rinnovabili, su cui il governo rivendica un’accelerazione? Nell’ultimo anno hanno pesato nel mix per il 39% circa contro una media Ue del 42%. E a marzo sono scese a un misero 26%: colpa delle basse precipitazioni che dall’inizio del 2022 stanno facendo diminuire la produzione in tutta l’Europa sudoccidentale, spiega la Iea. La riduzione è stata del 44% in Italia, del 67% in Spagna e altrettanto in Portogallo, Paesi dove in condizioni normali ben più di metà dell’elettricità arriva da fonti green.

Come ricordato, la Germania è legata a doppio filo agli idrocarburi russi: il gas è fondamentale per la sua industria e riscalda metà delle case. Ma nella produzione elettrica ha un ruolo secondario. Tra marzo 21 e marzo 22 la prima fonte nel mix sono state le rinnovabili (oltre il 43%, soprattutto eolico che però in estate viene sorpassato dal solare) seguite dallo “sporchissimo” carbone (30%) e da un 14,4% di gas. Classifica confermata anche a marzo, con le rinnovabili scese però al 39% e il carbone salito al 35% a causa del calo di produzione dall’eolico. Del tutto diverso il quadro in Francia dove a farla di gran lunga da padrone è il nucleare (67,2% della produzione nell’anno), seguito dalle rinnovabili (23%), quota che è rimasta abbastanza stabile nonostante un lieve calo dell’idroelettrico. Il risultato è comunque che il gas vale meno del 10% del mix: la media annua è al 6%.

L’altra considerazione che sorge spontanea guardando i numeri messi in fila dalla Iea è che per quanto riguarda l’energia elettrica la transizione ecologica rincorsa da Bruxelles va decisamente a rilento. Anzi, si fanno passi indietro: anno su anno nella Ue si è registrato un calo del 4,7% della produzione da rinnovabili che, insieme al -10,5% del nucleare, è stato compensato da un aumento dell’11,6% della produzione da fonti fossili: +1,5% per il gas e +26,3% per il carbone, il combustibile più inquinante.

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