Non voglio entrare nelle polemiche scatenate dalla serie con cui Gianluca Vacchi celebra se stesso e il suo successo. È solo un nuovo modo di fare dell’agiografia: nel Medioevo questi racconti erano dedicati ai santi e ai loro miracoli; oggi la serie vuole celebrare un nuovo modello di vita e creare nuova idolatria per le persone il cui stile di vita sia invidiabile.

Alla fine, se Vacchi è ricco: bella per lui, come si dice. È libero di fare dei suoi soldi ciò che vuole: non sarò mai in grado di competere con lui e non c’è alcuna frustrazione nel fatto di essere immensamente più povero. Non ho alcun ruolo per poter dire ad un adulto maturo, come è Vacchi, come deve vivere e come deve spendere i suoi soldi.

Non mi piace quando si invoca, come hanno fatto tutti i sostenitori di #VacchiOut, la cancellazione della serie: è una forma di censura, che alla fine insulta l’intelligenza di chiunque voglia avere la libertà di vedere, di indignarsi, di criticare o di invidiare una vita mirabolante (almeno per come è presentata). Quindi, che la serie vada avanti, perché ciò che deve essere sempre garantita è la libertà di scelta. Se guardare Vacchi ci fa arrabbiare, possiamo tranquillamente cambiare serie; se vederlo stimola quello strano fenomeno per cui si segue un conduttore o un personaggio televisivo solo perché è odioso, che ci sia permesso di farlo; se vogliamo seguire la serie solo per quella strana curiosità che ci fa comprare le riviste estive, dove dominano i bikini e le storie d’amore tra presunti vip, che ci sia data l’opportunità di sfogare questo strano voyerismo. In tutti gli altri casi sceglieremo di vedere o fare altro.

Non mi pare nemmeno interessante entrare nella polemica tra le persone che hanno lavorato per Gianluca Vacchi e che dichiarano di essere state pagate in nero, né avere un ruolo nel teatrino degli attuali dipendenti che, come Laura Siazzu, piangono di gioia per lui e lo proclamano il datore di lavoro dell’anno. Nessun appeal ha poi il cercare di capire chi avrà ragione all’esito della denuncia che Vacchi ha presentato contro gli ex dipendenti. Sono ormai stato abituato al fatto che ciò che conta nelle polemiche virtuali (come questa) è la rapidità della querela, non la sua effettiva fondatezza: come se il querelare velocemente attribuisse automaticamente credibilità alla tesi del querelante.

Quel che trovo assolutamente inaccettabile in ciò che è rappresentato nella serie è il tradimento del diritto ad un lavoro libero e dignitoso. Questo, dal mio punto di vista, avrebbe dovuto scatenare le ire delle persone. Come si fa a sostenere nella stessa puntata che si è il miglior datore di lavoro possibile e poi sottoporre le persone a balletti di fantozziana memoria? Non ho trovato grandi differenze nella (inesistente) libertà di scelta di Fantozzi nel rifiutarsi di guardare per l’ennesima volta La corazzata Potemkin e quella di persone costrette ad inscenare un tragicomico balletto solo per il semplice gusto di far ottenere al proprio datore di lavoro like e visualizzazioni. Questa è la vera cosa inaccettabile della prima puntata della serie. Non si può vendere l’immagine di un capo illuminato se quella stessa persona tratta i propri collaboratori non come persone libere, rispettando la loro dignità, ma usandoli per appagare la propria voglia di visibilità.

Non si dica che queste persone hanno liberamente scelto di partecipare ai balletti, perché se a loro non fosse stato bene avrebbero potuto dare le dimissioni: affermazioni come questa omettono la realtà del mondo del lavoro. Quali opportunità avrebbero realmente avuto i dipendenti se si fossero rifiutati e avessero dato le dimissioni? Certamente nessuna nell’ambiente in cui hanno sempre lavorato, poiché la pubblicità negativa che li avrebbe accompagnati avrebbe reso impossibile la loro ricollocazione. Avrebbero, quindi, dovuto cercare in altri ambiti, probabilmente sacrificando parti della loro professionalità e del loro stipendio.

Giocare sul fatto che il dipendente sia costretto ad assecondare le richieste del “capo” non è una cosa nuova. Purtroppo è capitato a molti e la motivazione per cui si accetta questo compromesso è semplice: se una persona tiene famiglia, per il bene della stessa accetta anche cose umilianti, come i balletti o la visione del capolavoro di Ėjzenštejn. È una forma di violenza psicologica che il capo usa: questa cosa è inaccettabile, soprattutto se chi la usa si presenta come un modello da idolatrare. Il tutto sperando che gli audio e le polemiche sulle violenze verbali non siano veri, perché questo cambierebbe – molto in peggio – la situazione.

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