È corretto dire che la Seconda Guerra Mondiale ebbe origine da una mancata umiliazione della Germania dopo la Grande Guerra e che nuovi conflitti nel cuore dell’Europa sono stati impediti proprio dalle dure misure imposte alla Repubblica Federale dopo la caduta del regime nazista? La risposta, come spiegano i manuali di storia delle scuole superiori, è ‘no’: al contrario, l’ascesa di Adolf Hitler fu proprio la conseguenza delle umiliazioni inflitte a Berlino dopo il Trattato di pace di Versailles del 1919. Ma questa teoria viene spesso usata, lo ha fatto in maniera non troppo sottile anche il capo del Pentagono Lloyd Austin, per giustificare l’esigenza del pugno duro nei confronti di Vladimir Putin dopo l’invasione dell’Ucraina, in piena contrapposizione alla linea dettata da Emmanuel Macron che invece chiede di non umiliare Mosca e lasciare aperto il dialogo col vicino.

A riportare la teoria dell’intransigenza nel dibattito pubblico sono stati alcuni osservatori italiani e internazionali. Ad esempio, il giornalista de La Stampa, Jacopo Iacoboni, ha così twittato: “Bisognò umiliare la Germania di Hitler per avere una Germania democratica. Dopo la prima guerra mondiale non la si volle umiliare e covarono revanchismo e ultranazionalismo. Bisogna umiliare la Russia di Putin. Senza umiliarla non abbandonerà mai colonialismo e imperialismo”. Parole con cui Iacoboni boccia di fatto la linea Macron sposando quella più intransigente e aggressiva di Stati Uniti e Gran Bretagna che hanno più volte dichiarato di voler “indebolire Putin per impedirgli di invadere di nuovo” un Paese confinante. Ma la tesi con la quale tenta di giustificare la sua posizione non è altro che un capovolgimento degli avvenimenti a cavallo tra il 1919 e il 1948: come spiegano gli storici, l’ascesa del nazismo è legata indissolubilmente e trova giustificazione nell’umiliazione subita dalla Germania sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, tra perdite territoriali, pagamenti di indennità di guerra e limitazioni all’esercito. Errore al quale si è rimediato poi solo nel 1948 con il lancio del Piano Marshall.

L’analisi storica di Iacoboni non è un caso isolato. Circa un’ora prima, era stato Paul Massaro, consulente politico per la lotta alla corruzione e le sanzioni della Commissione Helsinki del governo degli Stati Uniti, che sempre su Twitter aveva scritto: “Il problema, dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu che la Germania non venne sconfitta abbastanza duramente. Il risentimento crebbe lentamente a causa della convinzione che loro avrebbero potuto e dovuto vincere. La democrazia arrivò in Germania solo dopo la totale sconfitta e umiliazione”.

Ma la storia dice proprio il contrario e lo testimonia ciò che avvenne durante e dopo il Trattato di pace di Versailles del 1919. L’Impero germanico, uscito sconfitto dal primo conflitto mondiale, si vide sottrarre numerosi territori che finirono entro i confini di nuovi Stati che sorsero immediatamente dopo la guerra: la Polonia, l’Austria, l’Ungheria, la Cecoslovacchia. Luoghi abitati per la stragrande maggioranza da cittadini di lingua tedesca. Se per l’Italia la nascita del fascismo può essere ricollegata anche alla rivendicazione delle cosiddette terre irredente, per la Germania fu l’umiliazione di perdere territori che considerava solo e soltanto suoi a far crescere il risentimento che portò, circa 15 anni dopo, alla nascita del Terzo Reich. Come ha spiegato anche lo storico Alessandro Barbero durante una delle sue lezioni al Festival della mente di Sarzana, si diffuse nel Paese l’idea che l’esito della guerra avesse originato una vera e propria rappresaglia delle potenze vincitrici nei confronti di Berlino, saccheggiando l’impero di terre che, a suo dire, gli spettavano.

Un esempio calzante è quello che riguarda l’importante porto di Danzica che dopo la guerra diventò città-Stato. Un affronto per Berlino che continuerà a rivendicarlo come suo: “Danzig ist Deutsch“, Danzica è tedesca, ricorda appunto Barbero. E fu proprio Danzica il simbolo di quel principio, in realtà coniato alla fine dell’Ottocento, utilizzato da Adolf Hitler per giustificare le politiche espansionistiche e imperialistiche del Terzo Reich: la riconquista del Lebensraum, dello “spazio vitale” tedesco. Un pensiero che fece presa sulla popolazione e che spinse l’offensiva militare nazista. Da qui nasce, anche se da un punto di vista opposto, ossia quello degli Alleati, l’espressione “morire per Danzica”, coniata dal deputato francese Marcel Déat nel 1939 per chiedere ai governi francese e britannico se fosse il caso di rischiare un altro conflitto nel cuore dell’Europa per difendere la città dalle mire dell’esercito di Hitler che mise nel mirino il porto affacciato sul Baltico proprio per ridare all’impero ciò che da sempre riteneva di sua proprietà e del quale era stato ingiustamente privato dopo l’umiliazione post-bellica.

Un’umiliazione che si consumò anche negli stessi giorni nei quali si arrivò alla firma del Trattato di Versailles. Anche nel campo del simbolismo. Fu infatti l’allora presidente del Consiglio dei ministri francese, Georges Clemenceau, a decidere la sala della reggia di Versailles dove si sarebbe dovuto stipulare il Patto che siglò la pace. E non fu una scelta casuale: i delegati delle diverse potenze mondiali coinvolte si riunirono nella Galleria degli Specchi, la stessa dove il 18 gennaio 1871, al termine della guerra franco-prussiana, il re di Prussia, Guglielmo I, proclamò la nascita dell’Impero tedesco. Per i francesi fu una terribile umiliazione, dato che è in quella sala che si trovano i dipinti raffiguranti Luigi XIV trionfante sulle città tedesche. Uno schiaffo al sentimento nazionalista francese che Clemenceau volle restituire quasi 50 anni dopo, quando nella stessa sala decise di far firmare all’Impero germanico la propria resa.

Ma le umiliazioni nei confronti dell’Impero germanico non si limitarono alle perdite territoriali. Il Trattato abolì la coscrizione militare in Germania, impedì al Paese di dotarsi di una flotta navale composta da imbarcazioni oltre le 10mila tonnellate e di una forza aerea. Inoltre, venne fissato un limite massimo al numero di membri delle forze armate tedesche: 100mila. Pesanti furono anche le indennità di guerra che gravarono sull’economia tedesca: 6,6 miliardi di sterline.

In risposta a queste precisazioni, Iacoboni sostiene che “le riparazioni furono dure, ma Woodrow Wilson bilanciò le pretese più dure francesi e inglesi. E gli Usa di lì a poco negoziarono anche un accordo separato con la Germania. Ma soprattutto: la Francia era in macerie, il suolo tedesco infinitamente meno”. Cosa che, a suo parere, non è avvenuta 25 anni dopo, al termine della Seconda Guerra Mondiale. Senza scomodare nomi illustri come quello dell’economista John Maynard Keynes, parte della delegazione britannica a Versailles, che nel suo Le conseguenze economiche della pace previde che gli ingenti debiti di cui la Germania avrebbe dovuto farsi carico avrebbero portato a un nuovo conflitto mondiale, a rovesciare la lettura di Iacoboni è anche lo storico Paolo Mieli. Basandosi su una scelta precisa degli Stati Uniti dopo la sconfitta del Terzo Reich: includere la Germania tra gli Stati che avrebbero beneficiato del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa.

Non più debiti e punizioni, quindi, ma un aiuto economico per permettere all’economia della nuova Repubblica Federale di rilanciarsi ed evitare così l’errore storico del 1919, quando appunto si puntò all’umiliazione degli sconfitti. “Dopo la Seconda Guerra Mondiale – spiega Mieli – gli Stati Uniti non vollero commettere nuovamente l’errore che aveva commesso la Francia e fecero addirittura l’opposto. È di questo che è simbolo il Piano Marshall, il piano di aiuto alle potenze che avevano perso la guerra e a quelle ad esse limitrofe aveva questo di geniale: anziché vendicarsi della Germania e costringerla di nuovo in una situazione che avrebbe potuto generare una Terza Guerra Mondiale, gli Stati Uniti crearono in Europa il principale interlocutore di mercato e anche il principale interlocutore politico”.

Twitter: @GianniRosini

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Il ministro dell’Ambiente della Repubblica Dominicana è stato ucciso nel suo ufficio

next