di Giuseppe Sciarra

Sono diventati padri e madri quei ragazzetti di paese che anni fa per svariati anni resero sofferente ogni giornata che passavo camminando ad occhi bassi per le strade isolate di un piccolo mondo meridionale uguale a tanti altri, in mano alla delinquenza. Ragazzetti che per lungo tempo da quando ero bambino fino all’adolescenza mi hanno giudicato, calunniato, maltrattato, minacciato, picchiato. Il mondo va avanti, deve andare avanti, ma quando subisci violenza e vieni separato crudelmente dalla tua infanzia per mano dei tuoi stessi coetanei subisci un trauma che ti parlerà fino alla morte di ciò che è accaduto e che non doveva accadere.

Per anni mi sono chiesto perché sono stato scelto come capro espiatorio da questi ‘delinquenti’ che hanno agito di impulso e per gioco, ignoranza e cattiveria mettendomi al rogo come una strega. ‘Perché proprio io?’, mi domandavo. Siamo nell’Italia degli anni Novanta, in pieno boom fininvest con Pier Silvio Berlusconi che giura di rimettere a posto le cose in una nazione sull’orlo dello sfacelo, si è scossi dalla scandalo di Tangentopoli e dalla strage di Capaci e di via d’Amelio. Sono solo bambino, ho solo sette anni, vado a scuola, gioco con i miei coetanei ma come nelle migliori favole nere succede qualcosa, iniziano a girare voci su di me, arriva il male e da dei bambini.

Il patriarcato più becero e mafioso che al sud miete vittime e proseliti tutti i giorni emana una vile sentenza in nome della virilità (?) causata dai miei modi garbati, dalla mia buona educazione, da certi atteggiamenti ritenuti effeminati e non consoni al regime dei duri e dei guappi italici. Dei bambini iniziano a ironizzare sul mio conto prima alle mie spalle e poi con calci, schiaffi e sputi, ovviamente in gruppo, da bravi vigliacchi. Le voci girano velocemente per il paese ed arriva in men che non si dica subito il marchio a fuoco: è omosessuale! Nell’Italia degli anni Novanta, mal informata e terrorizzata dal virus dell’Aids, dalle dicerie che vedono i gay come la causa principale della pandemia, un omosessuale è un cartone animato, un’ombra, un freak, un oggetto che puoi rompere come vuoi, quando vuoi, un mostro che agisce nel torbido e porta malattie.

Da ragazzino ero terrorizzato da ciò che sentivo in televisione: omosessuali ammazzati, ragazzi picchiati perché gay o cacciati di casa. E poi quello stuolo di arpie tra la gente cosiddetta perbene e non che faceva battute sulla virilità di questi alieni, i gay; parole terribili, sprezzanti, che suonano come un vero e proprio stupro continuo perpetuato sui malcapitati. Un clima di caccia alle streghe che per un bambino come me metteva in allerta su che destino si poteva prefigurare per lui. Per sette anni mi sono sentito violentato da quei ragazzetti che oggi sono padri e madri di bambini e dalle loro minacce, per sette anni hanno tentato di uccidermi con la loro lingua a sonagli queste persone oggi genitori, che se leggeranno queste parole diranno, per scrollarsi di dosso ogni responsabilità, che erano bambini e che dopo oltre vent’anni farei bene a stare zitto – spero che ai loro figli non succeda quello che hanno fatto loro a me.

In un’epoca in cui il #MeToo ha scoperchiato il vaso di Pandora sul sottobosco di violenze che persistono tutt’oggi nella nostra società, l’avermi emarginato e sbeffeggiato ogni giorno, ogni ora dei miei anni più belli deve essere chiamato con il suo nome. Per me questi sono reati, reati che resteranno impuniti, forse! Eppure cari bulli che oggi probabilmente vi definite altri uomini e altre donne con la coscienza a posto, sarò sempre qui a ricordavi con le mie parole che la violenza anche se commessa in età non matura è pur sempre violenza e che con la coscienza a posto non ci dovreste stare!

Il mio è un atto di resistenza, un grido di giustizia (per la giustizia). Siamo in tanti ad aver subito questo delitto perfetto che si chiama bullismo e dopo che ci avete devastato corpo e anima siamo pronti a uscire allo scoperto!

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