L’inquinamento fa ingrassare. Lo afferma un importante articolo – a cura di quaranta esperti – sulla rivista scientifica Biochemical Pharmacology. Secondo i 1400 studi raccolti e analizzati, è infatti una delle cause dell’aumento di obesità a livello globale. La responsabilità è degli obesogeni, tossine capaci di alterare il metabolismo del corpo umano e, di conseguenza, le variazioni di peso. Si tratta di sostanze chimiche molto comuni nei pesticidi e nella plastica: si trovano negli imballaggi alimentari, nei prodotti per l’igiene personale, nei detergenti per la casa, nei mobili, nell’elettronica. Molti però sono dispersi anche nell’aria e nei corsi d’acqua. L’aspetto più preoccupante per gli scienziati però è un altro: gli obesogeni causano delle alterazioni genetiche, che tramandano la predisposizione all’obesità di generazione in generazione. Quindi il numero di persone affette da questa malattia sembra destinato a crescere nettamente nel prossimo futuro. La scoperta però potrebbe rivoluzionarne il trattamento clinico: permetterà ai medici di prevenire le cause, limitando l’esposizione dei pazienti a sostanze dannose, soprattutto dei bambini. Invece di arginare il fenomeno, con diete, farmaci o interventi chirurgici, come fa la medicina attuale.

Dal 1975 i casi di obesità nel mondo sono triplicati: oggi gli adulti in sovrappeso sono circa 2 miliardi, i bambini sotto i cinque anni sono 40 mila. È una vera e propria epidemia. Per combatterla – afferma Jerrold Heindel, dello Us National Institute of Environmental Health Sciences, principale autore dell’articolo – non serve concentrarsi sulla limitazione delle calorie nella nostra dieta quotidiana. Bisogna chiedersi “Perché le persone mangiano di più? Il paradigma degli obesogeni risponde a tale domanda”. Queste sostanze – identificate per la prima volta nel 2006 – infatti agiscono sui diversi organi (tiroide, pancreas, fegato e cervello) che regolano il metabolismo del corpo umano e il senso di sazietà. Poi rendono più facile l’assorbimento delle calorie nell’intestino e cambiano il numero e la dimensione delle cellule adipose – il così detto, grasso. Aumentare di peso, in questo modo, diventa molto più facile, mentre perderlo più difficile.

Gli obesogeni si trovano ovunque. L’articolo su Biochemical Pharmacology ne cita circa 50. Tra questi alcuni dolcificanti artificiali, antidepressivi, ma anche additivi chimici della plastica, come il bisfenolo A (BPA) e gli ftalati. Già nel 2020, uno studio sul British Medical Journal aveva rilevato un legame significativo la contaminazione di queste tossine e la diffusione dei casi di obesità negli adulti. Nella lista ci sono però anche numerosi pesticidi, come il Ddt, e alcuni componenti delle vernici e dei coloranti (tributilstagno, diossina e Pcb). L’articolo nomina anche gli Pfas (sostanze perfluoroalchilidiche) – i così detti prodotti chimici per sempre -, usati come impermeabilizzanti, negli imballaggi alimentari, nelle pentole e nei seggiolini per auto dei bambini. Anche per loro una ricerca del 2018 aveva rivelato che, in due anni, le persone – in particolare le donne – con i livelli di esposizione più alti avevano ripreso peso più rapidamente, dopo un periodo di dieta.

Questi inquinanti sono particolarmente pericolosi per i bambini. Numerosi studi infatti hanno tracciato il legame tra l’inquinamento dell’aria nelle città più trafficate e la diffusione dei casi di obesità tra i minori. “Le esposizioni in utero e nella prima infanzia sono i momenti più sensibili – spiega anche l’articolo su Biochemical Pharmacology – perché vengono alterate irreversibilmente le varie parti del sistema metabolico e così aumenta la suscettibilità agli aumenti di peso”. Le sostanze in grado di modificare i geni ereditari sono poche – 4 o 5 secondo Heindel -, ma molto nocive. Secondo uno studio del 2021, il livello di obesità, in un piccolo campione di donne, era significativamente correlato al livello di esposizione delle loro nonne al Ddt, anche se nessuna di loro aveva mai avuto contatti diretti con il pesticida – messo da qualche anno al bando. I ricercatori ipotizzano che gli obesogeni potrebbero contribuire alla diffusione dei casi di obesità per “circa il 15% o il 20%”. Mentre il resto dipende dalle diete, ricche di alimenti raffinati.

“Non potremo mai fare uno studio su un campione ampio e casuale: violerebbero la privacy e sarebbero immorali” ha spiegato Robert Lustig della University of California di San Francisco, tra gli autori principali della ricerca”. Ridurre l’esposizione agli obesogeni però è fondamentale: al momento sono più di 350mila le sostanze chimiche di uso comune, o disperse nell’ambiente. Molti sono stati già ritirati dal mercato in Italia e in Europa. Questo però non basta per prevenire l’aumento di casi in futuro: le madri – secondo Heindel – devono stare attente ai cibi che ingeriscono e alle sostanze con cui entrano in contatto in gravidanza. Ma devono controllare i giochi, i seggiolini, i bavaglini di gomma e tutto quello che usano i loro figli, soprattutto nei primi anni di vita.

Lo studio

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