Nato oggi, ma è un errore. Con un nome e cognome che l’errore lo invogliano e forse proprio per questo arrivato in Italia. In un calcio anni ’80 in cui la provincia era bella e orgogliosa e con un livello che seppur infinitamente superiore a quello di adesso, per attori in gioco, rendeva possibile anche non prendersi troppo sul serio accadeva anche questo. Accadeva che un mitico presidente di provincia come Costantino Rozzi era capace di tenere in A una squadra come l’Ascoli, che nel 1983 aveva già 5 salvezze consecutive (e in alcuni casi Europa sfiorata), con Carletto Mazzone alla guida: imprese raccontate dall’indimenticabile Tonino Carino a 90esimo minuto. E oltre al volto di Carino proverbiale divenne la sua idiosincrasia per i nomi degli stranieri (ma pure di qualche italiano). Naturale, dunque, che il presidente Rozzi approfitta del mercato appena fatto per beccare affettuosamente il cronista: “Tonì, t’ho fatto un dispetto, t’ho comprato tre-quattro giocatori che vojo vedè come li pronunci: ca…i tuoi”.

Tra questi c’è Aleksander Trifunovic, detto Ako: anzi per Trifunovic stesso Ako e basta, senza Aleksader anche se questo in Italia lo capiranno in pochi. A inizio anni ’80 già l’inglese è un lusso: qualcuno azzarda a pronunciare un “Aso”, ma lui ride. Mediano tosto, capace di litigare non solo con gli avversari, ma pure coi compagni se accusati di scarso impegno e per questo bandiera del Partizan Belgrado: tanta corsa , una buona capacità di tirare i rigori. Rozzi lo prende per pochi soldi e lo assicura a Mazzone… e a Tonino Carino, come detto. Inizia malissimo: l’Ascoli in polemica con Rozzi per una questione di premi esordisce (arrivando in ritardo) al Delle Alpi di Torino e ne becca 7 dalla Juventus. Ma il caso premi rientra, e la squadra ottiene ancora una volta la salvezza.

Per Trifunovic è un buon campionato: gioca 19 volte, segna 2 gol in Coppa Italia contro la Casertana, mentre il secondo anno va male. Rozzi prova a rimediare sostituendo Mazzone con Boskov, ma la china è ormai quella: Ako peraltro si infortuna in allenamento in un un contrasto col compagno di squadra Bogoni e rientra solo nella stagione successiva. In realtà non potrebbe rientrare affatto perché all’epoca gli stranieri in B non potevano giocare, ma la dirigenza riesce a spuntarla a livello federale e con Vuja in sella l’Ascoli stravince il campionato di B e Ako, che ha la caratteristica che quando si arrabbia comincia a parlare in serbo talmente veloce che non lo capisce neppure Boskov stesso, è tra i migliori.

Ed è bello il rapporto che si crea tra Ako e Vuja: ai media serbi il calciatore ha raccontato che fu proprio lui a suggerire all’allenatore di rifiutare l’offerta del Milan: “Se fallisci, sei finito” dirà Trifunovic. E Boskov non accetterà il Milan prima, ma la Sampdoria poi. E con l’ex vice di Vuja, Aldo Sensibile, in panchina la stagione seguente si apre nel migliore dei modi, con i bianconeri che vincono la Mitropa Cup, che Trifunovic alza da capitano dell’Ascoli e con un gol segnato in Coppa Italia al Milan di Sacchi e si chiude con la salvezza tranquilla (con Castagner subentrato a Sensibile). Poi Ako deve inchinarsi a Maradona: già, perché Diego decide che il fratello Hugo deve restare in Italia e la società prescelta è proprio l’Ascoli.

Rozzi aveva già preso Casagrande dal Porto e dunque l’altra casella per uno straniero deve essere liberata mandando via Trifunovic, che a quel punto smette col calcio giocato dopo una vita in bianconero, tra Partizan e Ascoli. Oggi festeggerebbe 68 anni, ma lui giura che pure questo è un errore: sarebbe nato il 10 e non il 13 maggio. E Rozzi a Carino avrebbe fatto scherzi peggiori di Ako: l’anno dopo avrebbe comprato Cvetikovic e Arslanovic.

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