Che il suo non sia un gran cognome per farci la rima è evidente, e a tratti lo ha imparato anche a sue spese. Invece a parlare di Mondiali in una canzone viene non facile, di più, metterci dentro Lele Oriali. Poi Ligabue ci fa un capolavoro immortale ed è un altro discorso. In quella canzone bellissima ci sarebbe potuto finire Hubert Pircher: per una questione di rima difficilmente, per il “casomai” legato alla vittoria dei Mondiali, che è il concetto base attorno a cui gravita il messaggio della canzone di Ligabue, assolutamente sì. Non faceva il mediano, Hubert, ma la Nazionale di Bearzot campione del mondo in Spagna, nel 1982 l’ha sfiorata, casomai.

Perché quando sei un ragazzone altoatesino di Bressanone, madrelingua tedesco che parla poco italiano saresti perfetto per festeggiare una medaglia d’oro alle olimpiadi invernali, casomai. E invece a Hubert, nato nel 1959, piace il calcio, che dalle sue parti però non si gioca molto, e allora deve andare a Bolzano per coronare il suo sogno di fare il portiere. Il fisico c’è, la voglia tanta, non c’è il posto, casomai. E allora visto che il fisico c’è dal difendere la porta Hubert fa l’esatto opposto, diventando attaccante. È bravo, volenteroso, sempre primo sul campo d’allenamento perché la corriera parte presto e da quelle parti e a quei tempi i sogni più che rincorrerli devi scalarli, come le montagne.

Lui ce la fa, e lo nota l’Atalanta che lo porta a Bergamo giovanissimo, ancora minorenne e ancora a scuola. Lui che parla tedesco a seguire lezioni tutte in italiano. Supera anche questa Hubert e in un amen arriva in prima squadra: non segna tanto, ma è utilissimo, oggi si direbbe di un centravanti che fa giocare la squadra. Dopo l’esperienza in nerazzurro passa all’Ascoli: nella prima stagione con Fabbri realizza solo un gol, in Coppa Italia, poi il tecnico viene esonerato ed arriva Carletto Mazzone. Con lui, nel terzo anno ad Ascoli, è il momento di Hubert. Parte dalla panchina, poi Mazzone inizia a schierarlo con continuità. Nella prima di ritorno fa una doppietta a San Siro, contro l’Inter che vale un punto, segna ancora nella giornata successiva, nel blitz dell’Ascoli ad Udine, e poi ancora col Cagliari per un’altra vittoria dei marchigiani, poi col Genoa e segna ancora, esattamente 40 anni fa, alla Juventus, strappando un punto alla Vecchia Signora.

Mazzone punta forte su quel centravanti non bello da vedere ma capace di giocare per i compagni, e Hubert, col suo spirito pragmatico da altoatesino, adora il buon Carletto che parla sempre chiaro, urla quando c’è da urlare e lo difende quando c’è da difenderlo. Un momento da sogno e di forma strepitosa che lo fa finire sul taccuino del selezionatore della nazionale maggiore Bearzot: all’orizzonte c’è il Mundial in Spagna, un attaccante duttile e in forma può essere utilissimo. E può essere utilissimo anche il fatto che già partecipare, per Pircher, sarebbe stato un trionfo. Giocare un lusso da non contemplare neppure, Bearzot ne è cosciente, puntando forte su Paolo Rossi nonostante le sole 3 partite giocate in stagione.

Ma stavolta neppure la ferma volontà di Pircher può nulla: erano tempi di “fatiche e botte” vere, per gli attaccanti, e uno come Hubert che non si risparmia poi paga il conto. La pubalgia gli fa saltare le ultime di campionato, il sogno di giocare, o meglio di partecipare al Mondiale svanisce con Bearzot che convoca Franco Selvaggi. Da lì comincia la parabola discendente di Pircher: nell’ultima stagione con l’Ascoli segna solo due gol, poi passa al Palermo dove però il campionato è disastroso e culmina con la retrocessione in C1. Ormai alle prese con diversi problemi passa al Rimini, poi al Fiorenzuola dove segna sedici gol e infine alla Brembillese. Quindi la carriera da allenatore, sempre nelle categorie minori, e l’attività di famiglia. Oltre a un bilancio che dice che tra la carriera di Oriali e quella di Pircher non c’è praticamente nulla in comune, se non un “casomai”. Ma pure quello ha preso direzioni diverse.

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