Un giorno da immortali il 29 aprile del 1990. Sì, il giorno del gol di Marco Baroni alla Lazio che consegna il secondo scudetto vinto dal Napoli, e anche l’ultimo, con Diego Armando Maradona, e per questo rende quel Napoli immortale. E il giorno del gol di Romano Galvani alla Roma. Perché è immortale Galvani? Semplice: perché non è morto, tanto per cominciare. Quel gol, tra i pochi di Galvani, è bello e arriva a coronamento di una stagione decisamente positiva per il Bologna: quella di Gigi Maifredi che col suo calcio champagne porta gli emiliani in Coppa Uefa. Un bel diagonale che porta in vantaggio il Bologna dopo 3 minuti: finirà 2-2 la partita del Flaminio, dopo segneranno Voeller e Giannini per la Roma, e pareggerà Waas per il rossoblù.

Piedi buoni, per Galvani, velocità poca: tanto che all’inizio della sua carriera, alla Cremonese, gli appioppano il soprannome di Galvao, che c’entra poco col difensore brasiliano che gioca nello stesso periodo o poco più tardi, ma è un riferimento alla classe di Romano. Che oltre alla classe di brasiliano ha poco: è di Manerbio, comune tra Cremona e Brescia che fa tanto provincia tra i campi dell’oratorio e quelli coltivati, e in gioventù Romano è di scena in entrambi. È bravo, bei piedi e bel caratterino: di certo non le manda a dire. Comincia dalle giovanili della Cremonese, e con la società grigiorossa partecipa alla scalata dalla C1 alla Serie A, conquistandosi, come detto, il soprannome di Galvao, ma anche un bell’equivoco. Non sarà l’unico della sua carriera.

Gioca col “3” sulle spalle, di qui in un calcio ancora “rigido” l’equazione “Galvani uguale terzino sinistro”. Ma non lo è, si considera un centrocampista, offensivo per giunta. La Cremonese retrocede, e lui passa all’Avellino: ma nella squadra guidata da Ivic trova poco spazio e per lui la stagione si conclude con 11 presenze e un gran bel gol nella vittoria casalinga col Lecce. Lascia l’Irpinia e passa al Bologna, diventando titolare fisso dei felsinei in una stagione in cui segna 3 gol, due in campionato e uno in Coppa Italia. Ma viene lasciato partire in prestito e va a Pescara: anche qui gioca bene, e segna un gol splendido all’Inter, con stop di petto e dribbling a volo su un difensore avversario e pallonetto magistrale a Zenga. Ma litiga con Giovanni Galeone, per questioni di donne dirà Galvani, e la seconda parte di stagione gioca poco.

Dovrebbe rientrare a Bologna ma finisce di nuovo in prestito: in uno scambio con Aaltonen finisce addirittura a quella che sarà l’Inter dei record di Trapattoni. Ma giocherà solo 3 volte in quella squadra che vincerà uno scudetto che lui dichiarerà di non sentire suo. Sua, decisamente, sentirà la qualificazione in Coppa Uefa col Bologna di Maifredi, che arriverà nella stagione successiva, quando finalmente tornerà in rossoblù, giocandoci per tre anni: quella splendida stagione 1989-90, e quelle successive, pessime e culminate col fallimento e la retrocessione in C1 del 1993. A Bologna diventerà uno degli idoli di Lucio Dalla, e guadagnerà l’immortalità di cui sopra. Già, perché Romano Galvani, calciatore, all’epoca scompare tragicamente: muore, e ne danno la notizia anche nei telegiornali. Ma non è il Romano Galvani del Bologna, è un suo omonimo che gioca tra i dilettanti, al nord, e proprio questo scatena l’equivoco, che però è utile a Romano a fare un paio di scherzi agli amici e ai compagni. Chiude la carriera da calciatore dopo un’ultima stagione al Palazzolo, poi esce completamente dai radar di un pallone a cui forse piaceva Galvani più di quanto a Galvani piacesse il pallone.

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