La classe dirigente russa non sempre va in paradiso. Specie quella che ha prosperato all’ombra dei miliardi energetici. Se poi sgarra, paga caro il suo peccato. Come Giuda: ossia, col “suicidio”. Infatti, nel giro di tre mesi, è già successo almeno quattro volte. Quattro top manager russi di grandi compagnie del gas si sarebbero infatti tolti la vita, due dopo aver sterminato le proprie famiglie. Una trama alla John Le Carré: quattro episodi tanto simili quanto oscuri, perché nessuno crede alle versioni ufficiali degli investigatori russi. Tantomeno alle coincidenze, che infilate una dietro l’altra sono indizi, tracciano una pista: quella di un “messaggio” rivolto ai piccoli e grandi oligarchi, ecco la fine che vi spetta se tradite il patto che vi lega al “sistema Putin”, ossia a quegli schemi della corruzione su cui hanno spesso indagato Alexei Navalny e Boris Nemtsov, vicepremier quando presidente russo era Eltsin, uno dei fondatori del partito di opposizione liberale della forze di destra, liquidato da due killer la sera del 27 febbraio 2015 mentre camminava sotto le mura del Cremlino: stava per divulgare un libro bianco sulla corruzione “dell’oligarchia cechista”, chiaro riferimento alla cleptocrazia instaurata dagli ex uomini del Kgb, come lo stesso Vladimir Putin.

L’ultimo di questi “suicidati”, tuttavia, non ha trovato compiacenti funzionari di polizia pronti ad archiviare la pratica: perché ha per scenario una villa nella catalana Lloret del Mar, non lontano da Barcellona, in Spagna: qui, giovedì 21 aprile, il 55enne Sergei Protosenya, ex capo dirigente della Novatek, un colosso del gas russo, si sarebbe impiccato al ramo di un albero del giardino di casa, dopo aver trucidato a coltellate la moglie Natalya e la figlia di 18 anni mentre dormivano. Accanto al corpo sono state trovate le armi dei delitti, un’ascia e un coltello con tracce di sangue. Tutto troppo perfetto, quasi a suggerire come compilare il rapporto della Scientifica. La polizia spagnola, però, non ha escluso altre piste: quella della mafia russa, ma soprattutto quella di sicari professionisti legati a qualche intelligence (i sospetti non escludono i servizi di Mosca).

Protasenya non era uno qualunque. Era un oligarca di medio calibro finanziario, poiché il suo patrimonio non rivaleggiava con quello dei miliardari più noti: tuttavia vantava un tesoretto di oltre 400 milioni di euro, inoltre possedeva una casa anche in Francia, dove è rimasto il figlio che non è andato coi genitori in Spagna per le vacanze di Pasqua. È stato lui ad avvertire la polizia che sua madre non rispondeva più al telefono. Da quanti giorni? Fino all’inverno del 2015, Protasenya faceva parte del consiglio di Novatek e aveva ricoperto il delicato ruolo di capo contabile della società. Era dunque al corrente di tutti i segreti finanziari e commerciali. Sapeva come veniva gestito il produttore di gas di Gennadj Timcenko, inserita nella lista nera delle sanzioni Usa fin dal 2014, nel tentativo di limitare l’accessibilità ai fondi. Sicuramente Protasenya conosceva gli stratagemmi adottati per sfuggire alle tenaglie dei controlli finanziari internazionali. Timcenko è uno degli uomini di spicco dell’élite putiniana, ha multiple cittadinanze (russa, armena, finlandese), ha fondato il Volga Group (investimenti privati), è stato comproprietario del Gunvor Group. Soprattutto, di Putin è stato sodale fin dalla fine degli anni Ottanta. Nella biografia ufficiale, per esempio, si legge che Timcenko aveva lavorato come ingegnere al ministero del Commercio estero. Pare invece che avesse studiato tedesco assieme a Putin all’accademia del Kgb Bandiera Rossa. Poi, i servizi segreti inviarono Putin a Dresda e Timcenko a Vienna e Zurigo (lo avrebbero rivelato due ex spioni del Kgb alla giornalista americana Catherine Belton, secondo i quali Timcenko aveva lavorato come agente sotto copertura nelle organizzazioni commerciali sovietiche).

Il quotidiano Vedomosti pubblicò un’intervista ad un terzo ex agente in cui si ipotizza che addirittura Timcenko fosse stato mandato a gestire i conti bancari che finanziavano le reti illegali del Kgb. Cosa che Timcenko ha sempre negato, ma anche “un’importante banchiere russo legato ai servizi di sicurezza ha indicato che Timcenko aveva legami con Putin ai tempi in cui quest’ultimo era a Dresda”, scrive la Belton nel suo imponente saggio Gli uomini di Putin (La Nave di Teseo, 2020). I due misero a punto la famosa e controversa operazione “petrolio in cambio di cibo”: venne venduto tanto petrolio ma nulla arrivò agli affamati abitanti di Pietroburgo, nei durissimi mesi dopo la caduta dell’Urss, mentre si ipotizzò che i soldi incassati nella vendita del petrolio fossero serviti a salvare le reti del Kgb. Timcenko negò ogni coinvolgimento della sua società di allora, la Kirisineftetechimexport, ma uno degli ex soci lo ha confermato alla Belton e successivamente anche altri due soci lo hanno ribadito. Insomma, Protasenya poteva essere a conoscenza non solo dei segreti più recenti, ma anche di quelli più lontani, quelli che Putin non desidera far emergere. I segreti della cerchia di ex agenti del Kgb che hanno conquistato il potere in Russia.

Pigliamo lo strano “suicidio” di un altro manager, uno dei tanti che presidiano gli opachi meccanismi della corruzione che attanaglia il regime russo. Il cadavere di Leonid Shulman, 60 anni, capo del servizio di trasporto Gazprom Invest, viene trovato il 30 gennaio nel bagno della sua dacia di Leninsky, un esclusivo villaggio della regione di Vyborg, nella Leningrad Okrug (l’oblast che ha per capitale San Pietroburgo ha mantenuto il vecchio nome sovietico), dove le dacie di lusso valgono milioni di dollari. Accanto al corpo, c’è anche un biglietto. Shulman si lamentava che non riusciva più a sopportare il dolore alla gamba destra rotta. Aveva ancora indosso il sofisticato apparato di Ilizarov, progettato per favorire la fusione ossea (in effetti, Shulman si era fracassato la gamba nello stesso villaggio, scivolando per il ghiaccio, durante le vacanze di Capodanno). Però il dettaglio non quadrava con il suicidio. Come il biglietto. Se uno si cura con apparati costosi come l’Ilizarov e consuma antidolorifici di grande efficacia come quelli trovati in casa, perché togliersi la vita quando tutto fa pensare esattamente al contrario, e cioè che volesse guarire in fretta e bene? In realtà, alla fine del 2021 il servizio di sicurezza della Gazprom aveva appena concluso un’accurata ispezione nel dipartimento dei trasporti della sua controllata ed erano emerse grosse incongruenze riguardo le sopravvalutazioni dei costi di riparazione degli automezzi della flotta aziendale. Qualcuno aveva esagerato, confidando nella tolleranza delle alte sfere, ma in quei giorni Putin aveva dichiarato di voler combattere la piaga della corruzione, ad uso e consumo dell’opinione pubblica, quindi andava “sacrificato” qualche pesce piccolo, per salvaguardare i pesci grossi. La differenza, cioè, tra suicidio e suicidato.

Circa un mese dopo, il 25 febbraio (poche ore dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, particolare non secondario), nella stessa località, viene rinvenuto il corpo di Alexander Tyulyakov, 61 anni, vicedirettore generale del Centro unificato di Insediamento della Gazprom per la sicurezza aziendale. Un personaggio chiave. La coincidenza ha suscitato l’attenzione della Novaya Gazeta, il giornale diretto da Dmitri Muratov, premio Nobel per la pace, costretto a fermare le pubblicazioni qualche settimana fa a causa della censura per la guerra in Ucraina. Nel suo articolo si legge che l’uomo si sarebbe impiccato nel garage. Pure lui avrebbe lasciato un biglietto ma il suo contenuto non è stato divulgato. Appena la polizia è arrivata alla villa di Tyulyakov, sono piombati tre grossi Suv della sicurezza Gazprom che hanno cacciato via tutti, compresi gli agenti, respingendoli oltre il cancello del grande giardino. Poi, non si è più saputo nulla. Novaja Gazeta non ha potuto far altro che sottolineare come i dettagli di entrambi i decessi fossero simili. Un copione. Con l’aggravante che a calare il sipario sia stata l’onnipotente Gazprom.

Infine, il 18 aprile, la prima strage familiare: il cinquantunenne banchiere Vladislav Avaev, ex alto funzionario del Cremlino (vicedirettore del dipartimento amministrativo), nonché ex vicepresidente della Gazprombank, viene ritrovato morto nel suo lussuoso appartamento moscovita al quattordicesimo piano sulla Universitetsky Prospekt, con una pistola in mano. Nella camera da letto matrimoniale, giaceva il corpo della moglie Yelena di 47 anni, in un’altra camera da letto quello della figlia Maria, tredicenne. A scoprirlo è stata Anastasia, la figlia maggiore di Avaev, che aveva tentato inutilmente di contattare i genitori per telefono. Secondo le prime ricostruzioni degli investigatori (almeno quello che è stato riferito ai media), Avaev avrebbe scoperto l’infedeltà di sua moglie con il suo autista, una relazione durata circa un anno, e per questo le avrebbe sparato, uccidendo pure la figlia per poi suicidarsi. La porta dell’appartamento era chiusa a chiave dall’interno, e questo avvalorerebbe la versione ufficiale, inoltre non sarebbero state trovate tracce di altre persone presenti durante la sparatoria. Tutto, in apparenza, è coerente.

Ma non il fatto che in casa, comunque, ci fossero altre tredici armi. E che lo scafato Avaev, per il tradimento della moglie, in un paese dove i ricchi e potenti divorziano con estrema facilità (bastano pochi giorni e un buon contratto al coniuge), perdesse così fatalmente la testa. Anche perché il dissidio tra lui e la moglie si era trasformato in una disputa legale per l’affidamento esclusivo della figlia Maria, preteso da Yelena che aveva intentato una causa presso il tribunale di Nikulinsky nell’ottobre del 2021, senza però chiedere il divorzio. Anzi, due mesi dopo, tutto era rientrato: Yelena aveva ritirato la causa contro il marito. Dunque, avevano fatto pace. Allora il motivo più plausibile – sempre che si tratti di duplice omicidio e suicidio – potrebbe essere collegato alla drammatica situazione finanziaria causata dalle sanzioni occidentali per la guerra: Avaev, che aveva mantenuto buoni rapporti professionali con Gazprombank, aveva sviluppato una sua attività d’affari parallela e forse era stato costretto ad indebitarsi a tal punto con la sua vecchia banca da non poter più essere in grado di rimborsare i prestiti (nel gergo delle banche, si chiama overshadowed by debt). È un’ipotesi. Le crescenti difficoltà economiche e finanziarie stanno diffondendo frustrazione negli ambienti degli affari e non pochi sono tentati di pigliare decisioni estreme. A cominciare dai piani alti del regime.

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