di Angelo Perrone

Nel tempo libero dal frastuono della guerra risuonano tante campane. È il bello della democrazia. Il guaio è l’opposto: quando non c’è varietà di voci, l’assortimento di tendenze che è il sale delle nostre società. Poi le opinioni possono essere seriose o riduttive, lungimiranti o fantasiose. In sintonia o meno con la nostra sensibilità. A volte persino bizzarre e ciniche.

Altrove, nelle dittature, tutti allineati e coperti, per timore del peggio, per repressione del dissenso. In Russia, per dire, risuona una sola campana, bella, forte e martellante, così manca il frastuono e con esso la verità, c’è solo la menzogna di Stato. Vantaggio apparente: è più facile che il pensiero sia unico, coerente, solido, poi vai a vedere cosa bolle in pentola.

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Da noi, flussi di informazioni, dibattiti allo sfinimento, mentre l’occhio dei telefoni, oltre a quello delle vittime e dei testimoni, porta tutto in primo piano, rende esplicito l’orrore. Impossibile sbagliarsi. Soprattutto negare l’evidenza. Eppure ciò non esclude la trappola dei pregiudizi e il pantano delle discussioni sfibranti, in cui riemerge di tutto: le riserve contro la Nato, la simpatia per il “decisionista” Putin (Salvini e Berlusconi) benedetto dal primate ortodosso Kirill, l’insoddisfazione verso la libertà occidentale, chissà che altro.

Una miriade di distinguo e di incertezze, che impedisce di vedere chiaro. Già è tanto se si critica l’invasione, il resto invece, il che fare, se mandare armi, è avvolto in una nube in cui tutto sfuma. C’è, a tutta evidenza, una gara d’ingegni sul modo di mettere fine a questa guerra, e qualcuno ne sa sempre più degli altri, saprebbe come fare, ha la ricetta magica, mentre gli altri, sempliciotti, non comprendono, anche se la soluzione – in questo coro – è sempre diversa l’una dall’altra.

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In Italia si fa sentire una minoranza turbolenta, la quale ha la specificità di seguire la teoria per cui tutto è collegato maledettamente, anche se non ve ne è prova. Questo esercito, variegato e raffazzonato, di politici, intellettuali, accademici – in cerca di visibilità, ansioso di propagandare teorie bislacche – coltiva battaglie che presentano un filo in comune: negare l’evidenza e costruire realtà alternative.

Un mondo culturalmente esausto e traballante, senza approdi che non siano l’incertezza, il dubbio, la logica. Il rifiuto irrazionale di riconoscere i fatti. Allora, che si fa? Così, in un’equazione ardita e inusuale, il Covid sta all’invasione dell’Ucraina come il green pass alle armi della Nato. Secondo questo assortimento di idee, trasversale tra certa sinistra e certa destra, emerge la “continuità tra la gestione della pandemia in Occidente e la guerra della Nato” (Ugo Mattei, giurista), granitica certezza che prelude a conclusioni che lasciano senza fiato: gli scienziati mentono sulla pandemia, questa guerra come tutte le altre è stata causata dall’Occidente.

Il proliferare di simili correnti di pensiero probabilmente è alimentato dalle fragilità politiche e istituzionali del sistema. Contano la frammentazione partitica, lo smarrimento del confine tra informazione e spettacolo, anche l’ideologia dell’“uno vale uno”. Infine lo scadimento qualitativo del ceto dirigente. Prevalgono convenienza politica, remunerazione elettorale, qualunquismo informativo.

In ogni caso, c’è qualcos’altro da tenere presente, che distoglie lo sguardo dall’eccidio nelle strade e nelle città, dai corpi trovati a terra con un buco nelle tempie, dai bambini uccisi negli ospedali, dalla gente massacrata nei palazzi bombardati. Infiniti pregiudizi antioccidentali o forse solo irrazionali portano sempre lontano da lì, dal sangue e dai corpi. Spingono a negare l’evidenza (quella sempliciotta e grossolana, chiara ai poveri di spirito, con animo da guerrafondai, non agli ingegni raffinati) che proviene da un’immagine.

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