Diverse testate giornalistiche stanno descrivendo la mutazione di alcuni canali ‘social’ i quali, da baluardi del verbo no vax duro e puro, vanno prendendo posizioni dichiaratamente filo putiniane. Uno sguardo sui canali Telegram o Facebook (Info Nesh, Basta Dittatura, Giù la Mascherina) conferma tale esodo. Non mi riferisco ovviamente a tutti coloro i quali hanno sollevato serie e motivate obiezioni alla campagna vaccinale di massa, o a chi ritiene l’aggressione all’Ucraina un fatto sanguinario ma evitabile alla luce di condizioni geopolitiche cinicamente attuali. La fetta di popolazione protagonista di questa migrazione è costituita da quei gruppuscoli che, acriticamente, fanno dell’assenza di una qualsivoglia attenzione alle dinamiche socio-politiche pregresse la loro cifra, riparandosi dietro monolitici assunti quali: “Con Putin senza se e senza ma”, oppure “Solo Putin difenderà l’Occidente”. Da cosa, forse nemmeno loro lo sanno bene.

La psicoanalisi insegna: ciò che induce alla migrazione tra queste due sponde è il bisogno di un assoluto. L’assoluto dispensa dal pensare, dall’indagare le questioni profonde alla base dei fenomeni sociali, cosa che per molti individui comporterebbe ad una seria messa in discussione delle loro fragili certezze. La costruzione paranoica di un nemico, vero o fittizio che sia, è alla base della tenuta mentale di soggetti i quali, senza il male alle porte, andrebbero incontro ad un disequilibrio. Si ricordi infatti che il delirio, anche quello paranoico, è un rimedio alla psicosi, una pezza per vivere meno peggio rispetto ad una andatura tremolante e scompensata.

Oggi che il Covid perde potenza, anche le teorie cospirazioniste diminuiscono in attrattiva. Dunque, per molti, meglio spostarsi su altri fronti fortemente bipolarizzati, laddove è presente un assoluto ben individuabile al quale affidarsi, confidando in un suo salvifico potere difensivo.

Putin, novello Vlad Tepes, incarna oggi agli occhi di questa umanità il baluardo che li protegge dalle loro paure più recondite: l’omosessualità, il vizio, la degenerazione dei costumi. L’invasione dell’Ucraina è da costoro vissuta come una “crociata” contro le nazioni perse e dannate (“Non mi aspetto accordi con una banda di drogati neonazisti” dice lo Zar). Si tratta, a ben vedere, delle medesime angosce profonde, e dunque inconfessabili desiderata, che le ormai sfiorite piazze no vax gridavano nei loro cortei, brandendo crocefissi, inneggiando alla contaminazione dei mores, o auspicando un ritorno del ventennio contro Soros e le massonerie colpevoli di aver creato e diffuso il virus.

Reputation Science analizzando la messaggistica dei gruppi novax-sì Putin ha scovato la medesima matrice complottarda: l’Ucraina sarebbe il male espresso dal nuovo ordine mondiale, laddove in questa guerra “se vince Putin, perdono Draghi, Macron e von der Leyen”, dunque la triade satanica che ha cercato di sottomettere il mondo col vaccino.

Dall’iconografia dei santificatori di Putin emerge la necessità del padre riparatore, invictus, figura che si nutre della medesima linfa che alimentava, e in parte tuttora alimenta, la vulgata del ‘quando c’era lui’. Troppo difficile oggi analizzare le cause storiche del conflitto, troppo difficile ieri indagare il concetto di zoonosi, di limite tra specie, di pandemia. Mesi fa, meglio immaginare un Moloch come Big Pharma che vuole farci prigionieri, ponendo le bislacche, ma assai semplici teorie no vax, come verbo salvifico della nostra specie. Oggi, meglio denunciare manovre occulte che vedrebbero, dietro le parole del presidente ucraino, agire quei medesimi foschi burattinai incolpati a suo tempo di aver giostrato la grande ‘impostura’ del Covid.

Completa questa acritica e superficiale visione della realtà un nuovo andazzo già ampiamente diffuso su tante testate ‘in’: il desiderio di individuare quale malattia mentale affliggerebbe Putin. Ecco allora sparato a quattro colonne un florilegio di diagnosi farlocche condito da termini dottissimi, pregni di termini psichiatrici e utili a cesellare lunghe articolesse di disamina sulla mente dello zar.

Putin non è che l’ultimo ‘paziente’ di questa deteriore ed insulsa moda. Chi si occupa di psicoanalisi sa bene che si diventa ‘paziente’ solo se c’è una sofferenza che sfocia in una domanda di cura. La clinica si fa col soggetto, con le parole, con la voce, con i sintomi, col suo vissuto raccontato ed esplorato. Insomma con la persona con cui si ha a che fare in carne ed ossa. Il presidente russo non è il pazzo che prende il comando nottetempo dichiarando, in pigiama, guerra ad un paese confinante. Non è folle come non lo erano Mussolini, Hitler, Stalin.

Chi si avventura in queste visioni ultra riduttive e banalmente semplificative fa furbescamente a meno dell’analisi di un humus sociale che esprime soggetti come Putin, che è ben lungi dall’essere il folle con l’imbuto in testa, quanto il prodotto finale del Russkiy Mir, un universo popolato da ideologi quali Aleksander Dugin, condito e cesellato da un avvallo religioso della Chiesa Ortodossa Russa (come non ricordare le rivoltanti parole del patriarca Krill ‘l’invasione russa dell’Ucraina è una “crociata” contro le nazioni che difendono i diritti degli omosessuali e contro stili di vita che giudica peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana.’).

Putin non è un pazzo, quanto un grigio ex uomo del KGB, incarnazione classica della “banalità del male”, che si sente autorizzato ad agire “in nome e per conto di” avendo alle spalle un apparato bellico consenziente, la chiesa ortodossa che ne avvalla le gesta, un intellighenzia plaudente e gli avversarsi tacitati.

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