Sono pesantissimi gli effetti della pandemia sulla società italiana: aumentano i divari, per una famiglia su tre peggiora la situazione economica e cresce il disagio soprattutto degli adolescenti, i più colpiti dagli effetti delle restrizioni anticontagio. La fotografia scattata dall’Istat nel suo rapporto annuale sul Bes, il benessere equo e sostenibile, è quella di una situazione critica con poche note positive, come l’aumento della presenza femminile nei consigli di amministrazione. Il perdurare dell’emergenza sanitaria ha fatto salire la quota di famiglie che dichiarano di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all’anno precedente dal 29% del 2020 al 30,6%, quasi 5 punti percentuali in più del 2019 (25,8%), con valori dell’indicatore pari a 32,4% nel Centro, 31,1% nel Mezzogiorno e a 29,4% nel Nord. La crescita economica del 6,6% non è bastata del resto a ridurre la povertà assoluta, che colpisce oltre 5 milioni e mezzo di persone e cresce al Mezzogiorno e tra i minori (1,3 milioni).

L’allarme è soprattutto per i giovani. Negli anni di pandemia i cittadini tra i 14 e i 19 anni sono gli unici ad aver conosciuto un deterioramento significativo della soddisfazione per la vita, con la percentuale di molto soddisfatti che è passata dal 56,9% del 2019 al 52,3% del 2021. Nei livelli di benessere mentale e di occupazione c’è un balzo indietro per le donne, soprattutto per le madri con figli piccoli. Ma sono stati anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto ai contagi. Sono loro a richiedere, oggi e negli anni a venire, la massima attenzione da parte delle politiche, e in tal senso i dati e i corrispondenti indicatori non lasciano dubbi. Le condizioni di benessere psicologico dei ragazzi di 14-19 anni, nel 2021, sono peggiorate.

Gli effetti si vedono anche sull’istruzione: lo scorso anno il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 12,7% dei giovani tra 18 e 24 anni, in calo rispetto all’anno precedente (14,2%). Lasciano la scuola più ragazzi (14,8%) che ragazze (10,5%), e la diminuzione di early leavers rispetto al 2020 è più accentuata tra i ragazzi, tra i quali la quota scende di 2 punti percentuali. E tornando al secondo trimestre 2020, l’incidenza dei Neet cresce in media europea di +1,7 punti rispetto al trimestre precedente, incremento trainato da paesi come Spagna (+4,2) ma anche Francia (+2,8) e che, tuttavia, nel nostro Paese è più modesto e leggermente al di sotto della media europea (+1,6) ma su livelli strutturalmente molto più elevati. Per chi ha continuato il proprio percorso, con la Dad la fruizione dei corsi non è stata priva di ostacoli. Infatti, il 65,8% degli studenti che hanno seguito le lezioni online riferisce di aver avuto qualche difficoltà, e la percentuale arriva quasi al 70% nel Nord-ovest e nel Centro, mentre è più contenuta nel Nord-est e non si discosta dalla media nel Mezzogiorno.

Per quanto riguarda il mondo del lavoro il 2021 segna un parziale recupero dell’occupazione persa nel 2020 (+128 mila occupati tra le persone di 20-64 anni in media annua), che è stato più forte per le donne, maggiormente penalizzate nel 2020. Ma la ripresa occupazionale del 2021 ha riguardato esclusivamente dipendenti a termine e collaboratori, soprattutto di breve durata. Il fenomeno è più diffuso nel Mezzogiorno, dove quasi un quarto (il 23,8%) dei lavoratori a termine lo è da almeno cinque anni (contro il 13% del Nord e 16,7% del Centro) e tra i lavoratori con al massimo la licenza media (24%, contro il 13,3% dei diplomati e il 17,0% dei laureati). Evidente anche la diversa distribuzione per settore di attività: tra gli occupati dell’agricoltura, la metà dei lavoratori precari lo è da almeno cinque anni e anche nella Pubblica amministrazione e nel settore dell’istruzione la quota supera il 20%. Tra i giovani (20-34 anni) il tasso di occupazione nel 2020 è sceso al 50,6% (solo la metà aveva un lavoro) e la ripresa del 2021 (+2,1 punti), sebbene più intensa rispetto alle altre fasce di età, non ha compensato il calo subìto.

E lo smartworking? La quota di occupate che lavorano da casa è aumentata più di quella degli uomini (+1,5 e +0,8 punti rispettivamente) e ha raggiunto quota 17,3% (4,3 punti percentuali in più degli uomini). Risultato interessante se si pensa che prima della pandemia il lavoro da casa era mediamente più utilizzato dagli uomini. L’impatto della pandemia è stato più forte sui lavori culturali e creativi, con una perdita di 55mila occupati.

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