A un mese dall’invasione russa la resistenza ucraina contro l’armata di Putin continua a tenere, Kiev non è ancora caduta, le forze ucraine sembrano aver riguadagnato terreno ed essersi riprese Irpin alle porte della capitale mentre i russi sarebbero indietreggiati dal vicino centro di Makariv e, secondo stime ritenute attendibili, le forze russe tra morti, feriti, prigionieri, dispersi avrebbero perso circa 40mila unità. In questa data che conferma la determinazione del popolo ucraino a voler resistere sono arrivate chiare e forti anche le parole di Sergio Mattarella nel messaggio inviato all’Anpi, critici sull’invio delle armi e sull’ingresso in tempi brevi dell’Ucraina nella Ue.

Il capo dello Stato è andato al sodo evidenziando che “il bersaglio della guerra non è soltanto la pretesa di sottomettere un paese indipendente quale è l’Ucraina” ma è anche colpire “le fondamenta della democrazia, rigenerata dalla lotta al nazifascismo, dall’affermazione dei valori della Liberazione combattuta con la Resistenza, rinsaldata dalle Costituzioni che hanno posto la libertà e i diritti inviolabili dell’uomo a fondamento della nostra convivenza. L’ingiustificabile aggressione al popolo ucraino di cui si è resa responsabile la Federazione russa ha fatto ripiombare il continente Europeo in un tempo di stragi, distruzioni, esodi forzati che ritenevamo impensabili dopo le tragiche vicende della seconda guerra mondiale”.

Un messaggio in piena sintonia con le parole di Mario Draghi che gli sono valse l’appellativo di “falco”, a seguito dell’intervento di Zelensky al Parlamento italiano. In quell’occasione il presidente del Consiglio aveva detto: “L’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione Europea. A chi scappa dalla guerra dobbiamo offrire accoglienza, di fronte ai massacri dobbiamo rispondere con aiuti anche militari alla resistenza”. E con ulteriore chiarezza ha risposto a Vittorio Sgarbi, ora capofila del pacifismo più intransigente che solo un mese prima dell’invasione a L’Aria che tira tra il serio e il faceto affermava: “Occorreva che Berlusconi andasse da Putin per dirgli di bloccare i carri armati contro l’Ucraina, se va Letta chi se lo fila?”.

All’accusa senza appello formulata da Sgarbi di “contribuire alla carneficina con l’invio di armi alla resistenza ucraina” Draghi ha risposto: “Se noi sviluppiamo le conseguenze di questo ragionamento dovremmo dire di non dover aiutare i paesi che vengono attaccati. Dovremmo sostanzialmente accettare di difendere il paese aggressore non intervenendo. Dovremmo lasciare che gli ucraini perdano il loro paese e accettino la schiavitù. E’ un terreno scivoloso che ci porta a giustificare tutti gli autocrati, tutti coloro che hanno hanno aggredito paesi inermi, a cominciare da Hitler e Mussolini”. Una valutazione condivisa da un teologo come Vito Mancuso non ascrivibile, credo, alla categoria dei “guerrafondai” che in un sofferto intervento su La Stampa con la consueta onestà intellettuale ha scritto “Ci sono domande a cui non si vorrebbe rispondere perché si conosce la complessità della situazione, non riducibile a un sì o a un no. Eppure a volte rispondere è necessario. Mi chiedono ‘sei favore a favore dell’invio delle armi in Ucraina? Rispondo: ‘Sì sono a favore'”.

E più in là riguardo al sostegno militare all’Ucraina si è spinto Abraham Yehoshua, scrittore israeliano che non ha bisogno di presentazioni e che ha messo al centro della sua opera il rapporto, con implicazioni spesso drammatiche, tra popolo diversi che hanno religioni e culture differenti. Poco dopo l’intervento di Zelensky alla Knesset, con la coda di polemiche a proposito dell’accostamento indiretto tra gli effetti devastanti sui civili “dell’operazione speciale” di Putin e l’Olocausto, solo perché il presidente ucraino ha parlato di “soluzione finale” purtroppo tutt’altro che scongiurata, si è espresso in modo molto netto. Nell’intervista sulla Stampa dello scorso 21 marzo domanda agli europei: “Perché siete così silenziosi?”. E alla domanda dell’intervistatore riguardo le armi e le sanzioni risponde che non bastano. Pur consapevole dell’impossibilità di aprire un conflitto diretto con la Russia precisa: “Bisogna mostrare a Putin i muscoli, far vedere sul terreno che c’è l’intenzione di fare di più, inviare carri armati in Ucraina. Far vedere che l’Occidente è lì, non credo che Putin avrebbe la forza di attaccarli e si cambierebbe la dinamica del conflitto. Bisogna fermare Putin, per le morti che le sue azioni stanno provocando, per il fiume di rifugiati che si ingrossa, perché sta smembrando uno Stato. Questo può avvenire solo se gli alleati prendono una decisione coraggiosa e lo bloccano militarmente”.

Ora, mentre Biden è a Bruxelles per i vertici internazionali, Zelensky è ritornato sulla richiesta di difficile praticabilità di “chiudere il cielo ucraino in qualsiasi formato” ma soprattutto ha domandato “i carri armati per eliminare il blocco a Mariupol, Berdyansk, Melitopol e altre città in cui la Russia tiene in ostaggio centinaia di migliaia di persone senza acqua, cibo, medicinali. Avete 20mila carri armati, ve ne chiediamo l’1%“.

L’Italia se finora ha mantenuto una formale compattezza riguardo le sanzioni e la solidarietà attiva a sostegno della resistenza ucraina è anche l’unico paese europeo dove alla seduta parlamentare con l’intervento in videoconferenza del presidente Zelensky si sono registrate le assenze di circa 350 tra deputati e senatori e si sono levate vibrate proteste contro “la forzatura e operazione di marketing” (Alternativa) o richieste di concomitante presenza di Putin per “par condicio” (Bianca Laura Granato del gruppo misto). Ma la nostra “peculiarità” non particolarmente edificante è la polemica sempre più aspra tra i cosiddetti guerrafondai e i sedicenti pacifisti che lamentano di essere silenziati, oscurati e messi ai margini, sommersi da un fiume di retorica patriottarda e bellicista, come ha ribadito Tomaso Montanari a 8 e mezzo qualche giorno fa.

Paradossalmente, ma in modo che desta a mio parere qualche apprensione, per una serie sempre più nutrita di opinionisti, commentatori, “esperti” a vario titolo – alquanto presente sulla carta stampata, compresi “i giornaloni megafono della Nato”, come nei talk show – il problema da rimuovere il più presto possibile è diventata la resistenza ucraina e la persona fisica di Zelensky. Sarebbe dunque questo accanimento del popolo ucraino a non voler essere schiacciato da Putin e a lottare per la propria indipendenza a mettere a repentaglio la pace e la sicurezza in Europa e a trascinarci sull’orlo della terza guerra mondiale.

“La moral suasion – come dice monsignor Ricchiuto presidente di Pax Cristi, con piglio alquanto battagliero – va esercitata su Zelensky che deve arrendersi” (a Di Martedì del 22 marzo); “finanziare la distribuzione di armi alla popolazione civile è un atto criminale” (Fabio Mini su Il Fatto Quotidiano del 23 marzo); “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è solo colpa dell’Occidente, Zelensky al potere con un colpo di stato”(Luciano Canfora Il Riformista del 12 marzo); “Se Zelensky diventa ostacolo per la pace deve essere abbandonato”; “Se Putin è schifoso tra schifosi possiamo intenderci… bisogna smettere di demonizzare l’avversario politico” (Alessandro Orsini Piazza Pulita 17/3); “Accusare Putin è una semplificazione”(Donatella Di Cesare a Piazza Pulita). Poi il 24 marzo la professoressa di Filosofia Teoretica, già firma della Stampa denuncia sul Fatto Quotidiano che “il suicidio dell’Europa è sotto gli occhi di tutti” e liquida Ursula von der Layen come “algida, singolare, inquietante comparsa”.

Tutti costoro ovviamente insorgono con veemenza contro quelli che osano attribuirgli simpatie putiniane e si ritengono vittime di un pericoloso clima di intimidazione contro chi non si allinea con la Nato a favore dell’Ucraina. Con una certa disinvoltura nei parallelismi storici si considerano bersaglio di un “nuovo maccartismo” dove stranamente sono molto ricercati e presenti nei salotti televisivi mentre i loro presunti “predecessori”, loro sì, erano nelle liste di proscrizione, perdevano il lavoro, venivano convocati davanti alle commissioni di inchiesta, rischiavano l’accusa di spionaggio ed erano attenzionati costantemente Cia e Fbi.

Ho sinceramente apprezzato il tentativo generoso e l’onestà intellettuale di Marco Lillo favorevole all’invio di armi, e che stimo da sempre, di “salvare il soldato Orsini dai soldatini Nato-draghiani”, anche se spesso sia Orsini che la teorica del “nuovo maccartismo” Donatella Di Cesare andrebbero, a mio avviso, salvati dai loro giudizi (più che vere e proprie analisi) tendenzialmente apodittici e scarsamente rispettosi della realtà fattuale.

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