Il 24 gennaio il Guardian ha diffuso alcune drammatiche immagini, riprese attraverso la porta di una cella della stazione di polizia di al-Salam, un quartiere del Cairo, in cui alcuni detenuti venivano torturati. In un video, due detenuti seminudi sono appesi per le braccia a una grata di metallo. In un altro, un gruppo di detenuti mostra ferite e lividi accusando gli agenti di polizia di torture. Infine, un terzo video riprende alcuni detenuti mentre supplicano il presidente al-Sisi di salvarli da altre torture e rappresaglie e denunciano che, per punizione, non ricevono più cibo dall’esterno e le visite dei familiari sono state sospese.

Amnesty International, dopo aver visionato le immagini, è andata alla ricerca dei profili social di tre dei poliziotti menzionati, trovando la conferma che lavorano nella stazione di polizia di al-Salam.

In un paese normale, verrebbero aperte indagini sull’operato della polizia. In Egitto sono state aperte, sì, ma nei confronti di nove detenuti (otto dei quali appaiono nelle immagini) e di tre loro familiari e amici, compreso un quindicenne. Per la Procura suprema per la sicurezza dello stato sono accusati di “diffusione di notizie false” “appartenenza a un gruppo terrorista”, “assistenza a un gruppo terrorista”, “possesso, all’interno di un luogo di detenzione, di materiale atto a pubblicare”, “finanziamento a un gruppo terrorista” e “uso vietato dei social media”.

L’insabbiamento è totale. Il 15 febbraio la Procura ha dichiarato che i detenuti che erano comparsi nel video erano stati “incitati da sconosciuti”, all’interno e all’esterno dell’Egitto, a “infliggersi ferite” con un oggetto metallico e a girare i video per “diffondere bugie e instabilità”. Nelle settimane successive portali e profili social vicini al governo hanno pubblicato video in cui alcuni dei detenuti ammettono di aver recitato e di essersi feriti durante una rissa: “confessioni” rese evidentemente sotto coercizione, dato che gli autori erano ammanettati l’uno all’altro e interrogati in modo aggressivo da un poliziotto.

Come scritto, tra gli arrestati c’è anche un quindicenne, Ziad Khaled. Il 16 febbraio le forze di sicurezza, prive di mandato, hanno fatto irruzione nella sua abitazione e l’hanno portato via per il mero fatto di essere imparentato con uno dei detenuti ripresi nei video. Anche per lui, le medesime accuse rivolte agli altri undici.

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