“La vita di Mohamed e degli altri detenuti all’interno della stazione di Dar el-Salam è in pericolo. Vi prego aiutateci a far conoscere ciò che sta accadendo lì dentro, sperando in un intervento decisivo. Serve un’inchiesta ufficiale e noi la chiediamo alle autorità responsabili”. Haitham Salah è disperato e chiede aiuto. La vita del fratello Mohamed è in pericolo dopo la conferma di quanto accaduto all’interno della stazione di polizia alla periferia sud del Cairo, arrivata al termine di un’indagine del legale della famiglia che ha sentito fonti vicine al caso del prigioniero: soprusi e torture ai danni dei detenuti.

I fatti risalgono alla mattinata di venerdì quando Mohamed Salah, da non confondere con Momo, stella egiziana del Liverpool e del calcio mondiale, e altri 14 detenuti vengono portati all’interno della stanza numero 6 della stazione di polizia (forte la similitudine con la stanza 13 del quartier generale dell’Nsa, a Lazoughy, dove, secondo le ultime risultanze investigative, Giulio Regeni sarebbe stato portato, torturato e poi ucciso tra il 25 gennaio e il 3 febbraio del 2016) e lì sottoposti ad una serie di brutalità assolutamente incomprensibili.

L’avvocato della famiglia Salah, Mokhtar Mounir, ha preparato un report su quanto successo e presentato una denuncia al Consiglio Nazionale per i Diritti dell’Uomo e reclami ufficiali ai ministeri dell’Interno e della Giustizia. È lo stesso Haitham Salah a raccontare a Ilfattoquotidiano.it cos’è accaduto dentro quella stanza: “La ‘festa’, come hanno detto scherzando alcuni funzionari della stazione, è iniziata verso le 11 di mattina ed è andata avanti fino alle 16 circa. Mohamed e gli altri sono stati spogliati, appesi per i polsi ad una tubatura. Con un idrante sono stati colpiti dal getto d’acqua e picchiati con bastoni e tubi di ferro e poi buttati a terra bagnati e intirizziti dal freddo. Per tutto il giorno non è stato dato loro cibo e adesso è chiaro perché negli ultimi giorni le guardie della stazione ci hanno rifiutato la possibilità di portare del cibo dall’esterno ai detenuti. Quegli uomini sono feriti e rischiano di peggiorare, hanno bisogno di cure e di una indagine seria”.

Soltanto dopo la comunicazione dei fatti accaduti dentro la stanza numero 6 sono iniziate a emergere le cause della brutale repressione. Tutto sarebbe scaturito dalle lamentele presentate dai familiari dei detenuti in attesa di giudizio reclusi a Dar el-Salam. In particolare quelli di Mohamed Salah, sconvolti dalla notizia della nuova imputazione e preoccupati dal fatto di non aver potuto fare visita al loro caro per così lungo tempo. I ripetuti reclami nelle alte sfere dello Stato, in particolare al Consiglio dei ministri, hanno prodotto un effetto contrario, specie dopo che le famiglie degli altri reclusi hanno presentato formale richiesta. Tutto questo non è andato giù ai vertici e al personale della stazione di polizia di Dar el-Salam. Ricordiamo che, a parte sporadiche occasioni, i parenti non hanno potuto abbracciare Mohamed Salah dal marzo 2020 a causa dell’emergenza coronavirus e non solo.

Dopo quanto accaduto, Mohamed Salah ha lasciato Dar el-Salam per essere di nuovo trasferito in una cella nel carcere di Tora che dista appena una manciata di chilometri dalla stazione di polizia. Un doppio percorso di andata e ritorno, il suo, tra i due luoghi di detenzione.

Mohamed Salah, è un giornalista ed è stato arrestato nell’ottobre del 2019. Amico e collega della nota giornalista e blogger Israa Abdel Fattah, una delle voci più importanti delle rivolte di piazza Tahrir del 2011 di cui, il 25 gennaio, ricorrerà il decimo anniversario, gli è stato fatale aver assistito proprio al suo arresto, avvenuto pochi giorni prima. Stessa sorte per lui, portato inizialmente proprio a Dar el-Salam e successivamente trasferito nel carcere di Tora dove è rimasto, come spesso accade, in attesa di giudizio con la detenzione che si rinnovava ogni 15 e poi 45 giorni.

A luglio la possibile svolta legata alla decisione della Corte Penale del Cairo che ha ordinato il rilascio del giornalista. Il peggio sembrava passato, ma il regime egiziano ha iniziato ad utilizzare una strategia per sfinire i detenuti politici e di coscienza: disattendere il dettame della Corte affibbiando ai malcapitati nuove accuse. È successo decine di volte, come raccontato anche da Ilfattoquotidiano.it: parliamo dei drammi umani dell’avvocato Ibrahim Metwaly Hegazy e del giovane ingegnere e ricercatore Ibrahim Ezz el-Din. La stessa cosa è accaduta a Salah, entrato suo malgrado in regime detentivo all’interno del caso 488, lo stesso di Ezz el-Din. A luglio l’ordine di scarcerazione e il percorso a ritroso verso Dar el-Salam, dove Salah e i suoi familiari si aspettavano un rilascio imminente. Come negli altri casi, anche per il giornalista egiziano è successa la stessa cosa: la Sicurezza nazionale del Cairo l’ha accusato di altri crimini, sempre legati a terrorismo e diffusione di notizie false e lui è entrato nel nuovo caso, il numero 855. Il suo ritorno nel carcere di Tora doveva essere immediato e invece fino a stasera Salah è rimasto in attesa di giudizio dentro la stazione di polizia.

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