Cinque organizzazioni per la tutela dei diritti umani presentano un dossier ufficiale al governo con 7 richieste e il regime ricambia continuando a perseguire la strada della repressione. Il via libera, nelle recenti settimane, ad una serie di scarcerazioni ‘eccellenti’ di prigionieri politici e per reati di coscienza sembrava aver creato una breccia e un cambio di passo da parte delle autorità egiziane. I rilasci, dopo quasi due anni di detenzione, dei giornalisti Solafa Magdy e suo marito Hossam el-Sayyad, del collega Khaed Daoud ed altri, apparivano come atti distensivi.

Su questa fenditura, apparsa evidente ai più, le ong egiziane, tra cui quella dei consulenti della famiglia Regeni, Ecrf, e l’Eipr di Patrick Zaki (hanno firmato il dossier anche l’Afte, l’Anhri e il centro anti-tortura el-Nadeem), hanno voluto inserirsi presentando un piano composto da 7 punti specifici. Un dossier costituito dalle richieste ritenute più stringenti: la liberazione immediata di tutti i prigionieri politici, compreso un taglio delle procure criminali dedicate agli attivisti dei diritti umani, il termine di detenzioni senza fine continuamente rinnovate in attesa di processo, lo stop ai continui casi riciclati per non liberare i prigionieri, la revoca dello stato di emergenza imposto nel 2017 e infine sbloccare i siti di informazione oscurati durante gli ultimi anni. Al momento, ufficialmente il governo non ha reagito alla presentazione del dossier con una presa di posizione ufficiale, continuando nel suo percorso repressivo.

A tal proposito sta suscitando reazioni di sdegno la storia di Abdul Rahman al-Shuweikh, un giovane detenuto del carcere di massima sicurezza di Minya, città 250 chilometri a sud del Cairo. Alla fine di aprile il giovane, durante un incontro in carcere, ha raccontato alla madre di aver subìto torture e violenze, anche di carattere sessuale. La madre del ragazzo, dopo aver fatto formale reclamo in procura, ha segnalato l’episodio attraverso un post sui social media raccontando quanto accaduto al figlio. Una scelta dalle conseguenze drammatiche. Pochi giorni dopo, il 26 aprile scorso, uomini della Nsa, la sicurezza nazionale, hanno fatto irruzione di notte nell’abitazione della famiglia di al-Shuweikh arrestando tutti i membri presenti, a partire dalla madre, Hoda Abdul Hamid, 55 anni, il padre Jamal al-Shuweikh, 65 anni, e l’altra figlia Salsabil, appena maggiorenne. La famiglia è stata svegliata di soprassalto e portata via ancora in pigiama, senza che nessuno potesse neppure prendere gli effetti personali. Padre e figlia sono stati rilasciati nei giorni successivi, mentre la madre del detenuto è stata arrestata e chiusa in carcere con l’accusa di aver aderito ad un gruppo terroristico e diffuso notizie false: per lei è scattata l’istruttoria del caso 900 del 2021.

L’incubo per la famiglia al-Shuweik non è finito qui. Lo stesso giorno del blitz un altro fratello di Abdul Rahman, Abdulaziz, anch’egli in carcere, nella famigerata prigione di Tora al Cairo, è stato trasferito da un’area ordinaria alla sezione più temuta e di massima sicurezza Skorpio I: “L’unica colpa della madre del detenuto è stata quella di denunciare quanto accaduto al figlio – attacca un funzionario del centro antitortura el-Nadeem che parla a che a nome delle altre ong egiziane -, delle violenze subite. Addirittura l’autorità giudiziaria ha fatto in modo che alcuni detenuti del carcere di Minya testimoniassero che Abdul Rahman al-Shuweik era pazzo e che si era inventato tutto. In realtà il detenuto non soffre di alcun problema psichiatrico. È l’ennesimo sopruso del regime nei confronti di quella famiglia, con tre figli in prigione. Riteniamo le autorità egiziane responsabili per la sicurezza e la salute dei membri della famiglia al-Shuweik attualmente in prigione. Chiediamo inoltre che la procura ordini un’indagine approfondita sulle torture e sulle violenze subite da Abdul Rahman al-Shuweik”.

Più di recente, lunedì scorso per l’esattezza, il governo del Cairo, nello specifico il Ministero dell’Interno da cui dipende la Nsa, si è reso protagonista di un altro episodio censurabile. Uomini dell’agenzia per la sicurezza egiziana hanno fatto irruzione nella casa di una famiglia residente nel governatorato di Sharqiya prelevando una donna e i suoi tre figli piccoli. Un’azione decisa per spingere il marito della donna, latitante, a consegnarsi alla polizia. Per due giorni di lei e dei suoi tre bambini, tutti sotto i 10 anni, non si è saputo nulla, ma per fortuna nel pomeriggio del 5 maggio sono stati rilasciati.

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