C’è qualcosa che non va nella campagna elettorale per le amministrative di Taranto. E non è la scelta del centrodestra di candidare l’ex segretario del Partito Democratico. Non è neppure la scelta del candidato sindaco di centrosinistra Rinaldo Melucci, di accettare nelle liste a suo sostegno vecchi nostalgici di destra. Il salto della quaglia, purtroppo, è ormai uno sport diffuso e giustificato dallo slogan “non esistono più destra e sinistra”. È chiaramente un alibi per tutti, fa comodo. E infatti lo dicono tutti, da una parte e dell’altra. No, non è questo: c’è un’anomalia nuova nella città dell’ex Ilva. Non credo che ci siano precedenti. Del resto questa città è sempre stata il laboratorio italiano dell’avanspettacolo politico.

Qui si formato il “fenomeno Cito”, il telepredicatore che dalla sua emittente AT6 tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90, lanciava i suoi strali contro tutti: politici, magistrati, forze dell’ordine. Cito divenne sindaco prima che Silvio Berlusconi annunciasse la sua discesa in campo.

A Taranto c’è stato anche il primo scontro fratricida della sinistra dopo il fallimento del Comune di Taranto: la sinistra aveva la possibilità di riprendere in mano la città dopo anni di centrodestra, politicamente responsabile del crac del Comune, ma decise di dividersi tra due candidati. Storie vecchie, ma nemmeno troppo.

Oggi assistiamo a un fenomeno che, ripeto, forse non ha precedenti. Tra i candidati alla corsa di primo cittadino c’è anche Luigi Abbate, giornalista locale divenuto famoso quando l’ex dirigente Ilva Girolamo Archinà gli strappò di mano il microfono per salvare l’ex patron della fabbrica, Emilio Riva, dalle domande scomode di Abbate sui morti per tumore a Taranto. Quella scena fu anche al centro della famosa telefonata, intercetta nell’inchiesta sull’Ilva, tra lo stesso Archinà e l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. Fu proprio la pubblicazione di quell’intercettazione a portare Abbate agli onori della cronaca italiana e a trasformarlo in un eroe agli occhi di un’intera nazione. Fin qui, niente da dire, anzi.

Da allora Abbate ha iniziato a vestirsi dei panni del paladino della giustizia, l’unico depositario della verità: insegue politici e pone domande a raffica e non offre neppure la possibilità al malcapitato di turno di articolare una risposta. Mi hanno insegnato che come giornalista devo saper porre le domande giuste, a incalzare, ad arrivare preparato per aspettarmi le risposte e saper rilanciare, ma mai a imporre all’intervistato di dire ciò che voglio. Nemmeno per sogno dovrei infine criticare le risposte se non mi piacciono, con l’unico obiettivo di ingraziarmi il consenso di una parte dell’opinione pubblica. Sorvolo sul fatto che questo atteggiamento spesso ha impedito ai colleghi di svolgere il loro lavoro e di porre le loro domande: noi giornalisti tarantini, c’abbiamo spesso fatto una figura barbina, nostro malgrado.

Questo modo di lavorare non lo condivido: non è rispettoso per i telespettatori, per chi deve rispondere alle domande, per i colleghi. Ma è solo un’opinione personale. Nelle ultime settimane, però sta accadendo qualcosa che mi appare inaccettabile.

Nonostante sia un candidato sindaco come tutti gli altri, Luigi Abbate continua a girare con microfono e telecamera e “intervistare” a modo suo gli avversari politici. Stesso copione: domande a raffica infarcite di opinioni e nemmeno il tempo di una risposta. Ecco, credo si sia passato il limite: a mio avviso, Luigi Abbate deve scegliere se fare il giornalista oppure il candidato. O meglio, dato che ha scelto di fare il candidato, non può continuare a fare il giornalista come ha fatto in passato: deve fare il candidato e sottoporsi alle regole che tutti i candidati sono chiamati a rispettare. E non basta dire che la legge glielo consente perché sarebbe un alibi come quello della scomparsa di destra e sinistra.

A questo aggiungo che sono un po’ stanco di dover passare come “servo del potere” solo perché come cronista rispetto le regole deontologiche di questo mestiere. Parlo esclusivamente a nome mio, ma temo che ci siano tanti altri bravi colleghi che ne abbiano le scatole piene. Mi piacerebbe vivere in una città normale in cui chi chiede il rispetto delle regole – ai vertici dell’ex Ilva, alla politica, ai giornalisti o alla magistratura – sia un testimone autentico e credibile di quel rispetto. Per questo vorrei che Luigi facesse una scelta: continuare a fare il candidato oppure tornare a fare il giornalista. Non si possono fare entrambe le cose. Non si devono fare entrambe le cose.

Abbate faccia la sua campagna elettorale attaccando gli avversari, ma senza intervistarli con microfono e telecamera al seguito. Oppure tornasse a fare solo il giornalista e allora avrà tutto il diritto di porre le sue domande ai candidati.

È un doveroso atto di correttezza verso tutti, ma soprattutto verso il nostro meraviglioso e martoriato mestiere.

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