L’aggressione russa dell’Ucraina ha scatenato reazioni da vari campi. Da quello economico al politico, fino al mondo dell’intrattenimento e a quello della mobilitazione civile. Lo sport non ha fatto eccezioni. In particolare quello dei motori. La Formula Uno infatti è stata una delle prime realtà a prendere posizione contro l’occupazione ucraina delle truppe di Putin. E lo ha fatto con un provvedimento netto quanto importante: il Gp di Russia non si disputerà. A Sochi si sarebbe dovuto correre nel mese di settembre ma la Liberty Media (l’azienda proprietaria del circus) ha deciso di cancellarlo dal calendario del mondiale 2022. E non è l’unica decisione intrapresa. È stato infatti anche risolto il contratto con il promotore del Gran Premio di Russia, che si sarebbe dovuto spostare a San Pietroburgo nel 2023. Tradotto: la Russia non avrà gare nemmeno in futuro.

Quindi la Formula Uno di quest’anno avrà una gara in meno? Nient’affatto. Portimao, Istanbul o Doha potrebbero essere le alternative a Sochi. Negli ultimi giorni è stata avanzata anche la candidatura di Jerez de la Frontera. Il vicepresidente della Regione Andalusia, Juan Marin, ha dichiarato come tutto il mondo sappia che “vogliamo un GP e per questo un anno e mezzo fa siamo andati a Londra a trattare. Allora gli organizzatori ci dissero che se c’era qualche cancellazione la nostra regione avrebbe potuto essere la prima scelta per la sostituzione”. Ma la questione Sochi potrebbe non essere ancora conclusa. Rosgonki, comitato organizzatore del Gran Premio russo, minaccia infatti di scatenare una battaglia legale per ottenere quantomeno un risarcimento economico (la quota d’ammissione di Sochi era tra le più elevate del calendario 2022). Il responsabile del comitato Alexey Titov – data l’impossibilità di costringere la F1 a correre in Russia – ha dichiarato che l’intenzione è quella di “riavere i nostri soldi, visto che la somma è stata già parzialmente sborsata. La F1 dovrà restituircela, che gli piaccia o no”.

Appena giunta la notizia dell’attacco russo dall’Ucraina, durante i test di fine febbraio a Barcellona, molti piloti, capitanati da Sebastian Vettel, avevano fatto intendere che non si sarebbero recati a Sochi per correre il Gran Premio. Un atteggiamento che ha anticipato la scelta della FIA di far correre i piloti russi e bielorussi solo senza l’esposizione della loro bandiera. La Hass invece è andata oltre. La scuderia americana infatti ha deciso di licenziare il pilota russo Nikita Mazepin, rescindendo anche il contratto con lo sponsor principale, l’azienda chimica Uralkali, di proprietà del padre dello stesso Mazepin. “Sebbene capisca le difficoltà – ha affermato Mazepin dopo il licenziamento – le misure della Fia unite alla mia costante volontà di accettare qualsiasi misura proposta per andare avanti in F1, sono state del tutto ignorate”. “E’ uno dei momenti più dolorosi della mia vita, questa guerra colpisce persone da ambo le parti con cui ho legami. Posso solo dire che la decisione di licenziarmi è stata unilaterale della Haas e legalmente immotivata. Se farò causa alla Haas? Ogni opzione è sul tavolo e la valuteremo. Ma di base non ha senso avere a che fare con chi non ti vuole”. Mazepin ha affermato che intende dare vita a una Fondazione sotto lo slogan “We Compete As One”, a sostegno gli atleti che vengono discriminati per ragioni politiche o semplicemente per il loro passaporto. La Uralkali del padre Dmitry invece ha annunciato di aver chiesto alla Haas il rimborso della sponsorizzazione già pagata per il 2022 e di essere pronta a difendersi legalmente.

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