L’arrivo alla Procura di Milano dei documenti chiesti per rogatoria internazionale al Principato di Monaco può essere il momento magico in cui si fa finalmente chiarezza sugli affari in Congo di Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, e di sua moglie, la congolese Marie Madeleine Ingoba: l’occasione per verificare se siano stati commessi reati, oppure se i comportamenti dell’ad siano stati cristallini. A giorni ci sarà l’udienza finale della Corte monegasca che deciderà se mandare oppure no in Italia i documenti bancari sequestrati quattro anni fa ad Alexander Haly, un cittadino britannico residente a Monaco. “Non abbiamo mai visto un caso così, mai viste tante lungaggini”: alla Procura generale del Principato di Monaco, retta da Sylvie Petit-Leclair, si dicono costernati e si scusano con i colleghi italiani della Procura di Milano. Gli uffici di Haly erano stati perquisiti il 5 aprile 2018, su richiesta rogatoriale italiana mandata a Monaco nel marzo 2018 – esattamente quattro anni fa – dai sostituti procuratori Sergio Spadaro e Paolo Storari, che stavano indagando su una presunta corruzione internazionale di Eni in Congo. Secondo l’ipotesi d’accusa, quattro persone legate a Eni (tra cui Haly e l’allora numero due della compagnia, Roberto Casula, oggi uscito dal gruppo) hanno ottenuto il rinnovo di quattro licenze petrolifere in Congo cedendo quote (per 77 milioni di dollari) a pubblici ufficiali del Paese africano legati al dittatore Sassou Nguesso, che poi avevano retrocesso una parte del malloppo (per il valore di 23 milioni) ai quattro uomini Eni coinvolti nell’affare.

La compagnia petrolifera ha chiuso la vicenda nel marzo 2021 con un patteggiamento per il reato di “induzione indebita internazionale” e il pagamento di 11,8 milioni di euro. Le persone fisiche, tra cui Haly e Casula, sono invece ancora sotto indagine, ora passata al pm Giovanni Polizzi. Haly è considerato il personaggio cruciale di questa storia, perché oltre a essere socio di Casula nella società Wnr Ltd è anche molto vicino alla famiglia Descalzi: è infatti socio di sua moglie, “Madò” Ingoba, nella società Petroservice, che negli anni ha incassato da Eni almeno 300 milioni di dollari per servizi logistici. Per questo, Descalzi e la moglie sono indagati per omessa comunicazione di conflitto d’interessi.

Le indagini sono state bloccate dalla rogatoria senza risposta, da quello che per la Procura generale di Montecarlo è un “caso mai visto”. I documenti bloccati servirebbero per fare finalmente chiarezza sugli affari di Haly in Congo, ma anche sui suoi rapporti finanziari con Descalzi e la moglie. “La collaborazione rogatoriale con l’Italia era partita bene”, raccontano alla Procura monegasca: il 5 aprile 2018 negli uffici di Haly era stato sequestrato molto materiale, tra cui computer e telefonini. “Dunque siamo stati molto rapidi, come sempre quando collaboriamo con l’autorità giudiziaria italiana”. Ma il meccanismo si è subito inceppato: l’avvocato di Haly, Arnaud Zabaldano, ha chiesto al giudice istruttore l’annullamento delle perquisizioni e dunque la restituzione di tutto il materiale sequestrato. Il giudice gli ha dato ragione, perché il sequestro era stato totale, e non invece limitato alla lista di società e conti mandata dalla Procura di Milano. “Questa lista”, spiegano nel Principato, “era arrivata dall’Italia al Giudice istruttore di Monaco lo giorno stesso delle perquisizioni, il 5 aprile, e non sappiamo se sia stata comunicata o no agli agenti che stavano eseguendo le perquisizioni”. La Procura generale di Sylvie Petit-Leclair ricorre alla Corte d’appello, che però conferma la decisione: “Ci ordina di restituire tutto a Haly, e non soltanto il materiale eccedente le richieste, come era successo in altri casi. Ricorriamo allora alla Corte di revisione: questa ha annullato la decisione della Corte d’appello”.

Dopo la pronuncia di legittimità della Court de Revision, che può essere paragonata alla Cassazione italiana, la decisione nel merito deve tornare alla Corte d’appello. “Ma qui a Monaco esiste una sola sezione della Corte d’appello, che non può giudicare due volte la stessa materia. In questi casi, il ruolo della Corte d’appello deve essere svolto dalla stessa Corte di revisione”. Intanto i mesi passano. Poi tutte le attività giudiziarie sono state rallentate dalla pandemia. E si sono aggiunti anche i rinvii per malattia chiesti dall’avvocato di Haly. Nel frattempo, il materiale sequestrato è sempre rimasto nella cassaforte della Procura di Monaco e nessuno poteva averne accesso: neppure i tecnici che dovevano fare il lavoro di cernita, separando il materiale richiesto nella lista della Procura milanese da quello da restituire. È dovuto intervenire un altro giudice istruttore, che ha infine dato il permesso di eseguire il lavoro di separazione.

Ora il materiale è pronto. A decidere se mandarlo a Milano o restituirlo definitivamente a Haly sarà a giorni la Corte di revisione (che in questo caso fa le veci della Corte d’appello). “La Procura di Monaco ha lavorato tantissimo su questo caso e avrebbe subito mandato in Italia tutto il materiale sequestrato”, spiegano a Montecarlo, “ma i giudici hanno finora accolto le richieste di Haly, garantendo i giusti diritti della difesa”. In udienza, la procuratrice generale Sylvie Petit-Leclair chiederà di nuovo di mandare il materiale richiesto alla Procura di Milano. Certamente l’avvocato Zabaldano si opporrà, riproponendo i motivi per cui aveva già chiesto l’annullamento delle perquisizioni del 5 aprile 2018. Siamo comunque all’ultimo atto del “caso mai visto”. Tra breve, salvo ulteriori rinvii, si saprà se arriveranno a Milano le carte che la Procura milanese ritiene cruciali per poter chiudere l’inchiesta sugli affari congolesi di Descalzi e della moglie.

AGGIORNAMENTO
L’Ing. Roberto Casula è stato assolto con sentenza passata in giudicato nel processo c.d. OLP 245 e la sua posizione è stata archiviata per quel che riguarda il reato di corruzione internazionale per la c.d. vicenda congolese.

AGGIORNAMENTO del 31-10-23
Precisiamo che il Gip presso il Tribunale di Milano ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti della signora Marie Magdalena Ingoba e di tutti gli altri indagati

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