Doveva essere la partita dello scudetto. È stata l’ennesima occasione persa per il Napoli di Luciano Spalletti. A guardare le statistiche, sembrerebbe che il suo problema sia il Maradona, dove gli azzurri hanno sbagliato tutta una serie di gare decisive (Milan, Barcellona, Inter, Fiorentina). Ma forse il problema è proprio Maradona: non lo stadio ma il mito che ritorna insistentemente, retoricamente ad ogni occasione trasformandosi in un peso. L’ambiente, insomma, più della stessa squadra che finisce per essere vittima di se stessa e dei tifosi, dei propri sogni, passioni e quindi paure. Sembra impossibile rivincere in questa città, dove ogni sconfitta pare la fine del mondo e ogni vittoria pure, uno scudetto non è un titolo ma una mano di Dio, e una stagione buona il sequel mal riuscito di un film che così diventa irripetibile.

Napoli-Milan è stata l’ennesima brutta, grande partita di questo campionato, sempre più livellato verso il basso. Due squadre che in una stagione normale sarebbero semplicemente inadatte a lottare per lo scudetto, hanno dato vita per 50 minuti (fino al gol casuale di Giroud) a uno spettacolo noioso e poi a un finale confuso. In uno 0-0 già scritto, hanno vinto i rossoneri, che con tutti i loro limiti tecnici hanno avuto almeno il merito di lottare (bisogna dire che non è mai mancato alla formazione di Pioli) e soprattutto di crederci.

Il Napoli no: a vederli in campo, Insigne e compagni, molli, inconsistenti, sembravano non ci credessero per nulla allo scudetto. E invece il punto forse è proprio questo: ci hanno creduto troppo. Come capita sempre da inizio stagione, e in fondo pure prima. Ogni qualvolta si ritrova a giocarsi qualcosa di davvero importante, Napoli, intesa non solo come la squadra, o la società, ma proprio tutta la città, perde. Si gonfia di entusiasmo, passione e tensione come un’enorme soufflé, poi si affloscia sul più bello.

Nella partita di domenica, gli azzurri hanno fatto tutte le solite cose – il giro palla, l’attacco della profondità con Osimhen, il pressing sugli avversari – ma tutte meno bene: troppa frenesia, poca calma, niente cattiveria, praticamente zero tiri in porta. Come se più che voglia di vincere, avessero tanta paura di perdere. È un film già visto. Contro l’Inter, quando il Napoli aveva l’occasione di azzannare una capolista in difficoltà e non l’ha fatto. Contro il Barcellona, quando dopo il bel pareggio del Camp Nou bisognava dare solo la mazzata finale a una nobile già decaduta, che invece ha rifilato una lezione di calcio. Sempre contro le grandi squadre. Sempre in casa, al Maradona, davanti ai propri tifosi. Non può essere un caso.

“Se non sai reggere alle pressioni e alle tensioni diventa quasi impossibile vincere”, ha ammesso quasi rassegnato pure Spalletti, e non si capiva se stesse parlando della sua squadra o di se stesso, o forse di entrambi. Perché lui è indubbiamente un grande tecnico, uno dei più preparati nel panorama italiano, ma la sua carriera dice anche che non è un vincente, che il suo carattere così straripante finisce poi per smarrirsi nei momenti decisivi.

E il Napoli lo stesso. Sembra ormai chiaro di trovarsi a che fare con una squadra non straordinaria, ma forte abbastanza per primeggiare in questa Serie A, se non fosse così poco abituata a competere per certi traguardi (a parte Insigne e Di Lorenzo campioni d’Europa con l’Italia, nessun giocatore della rosa ha mai vinto nulla d’importante). E così la pressione diventa insostenibile, a maggior ragione in un ambiente come Napoli, dove tutto si carica troppo, o comunque più che altrove, figuriamoci con Spalletti in panchina. Nonostante l’ennesima occasione persa e un calendario sfavorevole, la stagione non è finita. Ci sono ancora dieci giornate per cambiare la storia del Napoli e di Spalletti. Riuscirci insieme, poi, davvero sarebbe un’impresa.

Twitter: @lVendemiale

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