Il procuratore della Corte penale internazionale, l’inglese Karim Khan, ha confermato che 39 Stati membri della Corte hanno presentato un referral sulla situazione Ucraina, chiedendo alla Corte dell’Aia di indagare i crimini internazionali commessi nell’ambito del conflitto.

All’iniziale referral della Lituania del I marzo, si è infatti aggiunta ieri la comunicazione inviata formalmente dalla Gran Bretagna a nome di 38 Stati, inclusa l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, insieme a Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Georgia, Islanda, Lichtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito e Irlanda.

Si tratta di una notizia di grande rilevanza, che va valutata assai positivamente in quanto vede i paesi europei compatti nel ricorrere al diritto, alla giustizia penale internazionale, non a posteriori, ma nel vivo del conflitto.

La breve lettera di referral afferma che gli Stati firmatari hanno:

“deciso di riferire la Situazione in Ucraina al Procuratore della Corte penale internazionale al fine di richiedere al Procuratore di indagare ogni atto integrante crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, potenzialmente commessi sul territorio dell’Ucraina dal 21 novembre 2013 in avanti, incluse le attuali denunce di commissione di crimini in corso su tutto il territorio ucraino, con ciò chiedendo alla Corte di esercitare la sua giurisdizione rispetto all’ambito di accettazione [di giurisdizione della Corte] da parte dell’Ucraina”.

Tale referral giunge in risposta a quanto dichiarato dal Procuratore pochi giorni prima: già il 28 febbraio Karim Khan aveva infatti annunciato la sua decisone di avviare le indagini in Ucraina ed aveva sollecitato una mossa in tal senso da parte degli Stati che avrebbe potuto velocizzare l’iter (in base a quanto previsto all’art. 14 dello Statuto di Roma).

In effetti la situazione ucraina è stata oggetto di analisi da parte della Procura dell’Aia già dall’aprile 2014, a seguito dei ben noti fatti connessi alle proteste di Maidan del novembre 2013, che avevano portato l’allora governo ucraino ad accettare la giurisdizione della Corte. Pur non essendo l’Ucraina quindi diventata uno Stato parte della Corte, da allora ne ha accettato la giurisdizione “ad hoc”, un meccanismo previsto e già utilizzato da altri Stati in passato. Nel 2015 l’Ucraina aveva presentato una seconda dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte, sostanzialmente un invito rafforzato alla Procura ad aprire le indagini sui gravi crimini commessi sul proprio territorio.

E già nel 2020 l’allora Procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, aveva concluso che tutti i criteri previsti dallo Statuto di Roma per l’apertura di una indagine erano integrati. L’indagine, che includeva oltre i presunti crimini contro l’umanità legati alle proteste di Maidan, anche l’occupazione russa della Crimea, non era tuttavia stata ritenuta degna di priorità (“prioritized”) rispetto ad altre, e dunque non era di fatto stata avviata.

Chiaramente in questi pochi giorni tutto è drammaticamente cambiato. L’accelerazione riflette l’assoluta gravità della situazione, ove gli Stati stanno ricorrendo ad ogni mezzo per cercare di bloccare – o per lo meno ridurre – la violenza in corso. Affiancare alle sanzioni e agli aiuti militari la responsabilità penale internazionale delle persone coinvolte può apparire simbolico agli occhi di molti.

Ma questa mossa, insieme alla richiesta dell’Ucraina di condannare la Russia davanti alla Corte di giustizia internazionale (sempre con base all’Aia ma da non confondersi con la Corte penale internazionale che ha competenza sulle responsabilità individuali), dimostra ancora una volta che il diritto internazionale è uno strumento vivo, che i suoi principi ancora costituiscono il punto di riferimento a cui richiamarsi anche e soprattutto nei momenti di crisi totale della politica e della diplomazia. E che sta agli Stati rafforzare i meccanismi di esecuzione del diritto internazionale, inclusi quelli di natura penale. Lo strumento non è perfetto e siamo tutti consapevoli dei suoi limiti – incluso il fatto che la Corte non potrà avere giurisdizione sul crimine di aggressione -, ma un mandato di arresto internazionale, anche diretto nei confronti dei massimi vertici militari e politici russi per crimini di guerra o crimini contro l’umanità, non è affatto impossibile.

Detto chiaramente, i 39 Stati, Italia inclusa, che hanno ieri presentato il referral alla Corte penale internazionale, hanno ora il dovere di adottare tutte le misure necessarie, in termini di cooperazione ma anche di risorse e fondi messi a disposizione della Corte, per fare sì che le indagini siano efficaci ed effettive. E che il diritto possa sempre più rappresentare un’alternativa di fronte alla barbarie della guerra.

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