C’è un termine che in questi giorni è tornato ad occupare le cronache: finlandizzazione. Risale all’epoca della Guerra Fredda, quando fu coniato per riferirsi alla politica neutrale avviata da Helsinki nei confronti dei due blocchi, Occidente e Unione Sovietica. Un’accezione positiva in patria: sottolineava la capacità di mantenersi in equilibrio in complessi rapporti bilaterali. All’esterno è stata invece usata con una connotazione negativa: “Qualcuno ci vedeva il simbolo di un non-allineamento in realtà condizionato da pressioni esterne e influenze mal nascoste”, spiega Gianfranco Nitti, corrispondente dall’Italia per alcuni media finlandesi. Eppure è proprio questo approccio ai due blocchi, e la conseguente postura che Helsinki si è data nel corso della storia, che potrebbe proteggerla dall’ingombrante vicino russo. Così la pensa Nitti: “A differenza di altri Paesi, la Finlandia ha un’esperienza decennale nel mantenimento di relazioni in entrambe le direzioni. Ha dovuto avviare questa strategia per via della sua posizione, che la espone a 1340 km di confine. Figura cardine per l’avvio e il mantenimento di questo processo fu Urho Kekkonen, presidente della Finlandia dal 1956 al 1982″. Negli anni un compromesso che si ripete: adesione all’Unione Europea nel 1995, ma nessun ingresso nella Nato.

La Nato, il governo e i cittadini – In seguito all’esplosione della Guerra in Ucraina, il portavoce del ministro degli Esteri russo – Maria Zakharova – nei giorni scorsi aveva avuto pochi dubbi: “L’adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato avrebbe gravi conseguenze politico-militari”, che “richiederebbero passi reciproci della Russia”. Idee chiare anche per i cittadini finlandesi, seppur in direzione opposta. Secondo un sondaggio diffuso dalla tv pubblica, la guerra in Ucraina ha cambiato la propria opinione in merito alla possibilità di aderire all’Alleanza atlantica. Nel 2017 era a favore solo il 19 per cento della popolazione, ora è balzato al 53. Una petizione ha inoltre raccolto 50mila firme, necessarie per portare il tema in Parlamento. La premier finlandese Sanna Marin ha subito frenato: “La Finlandia è in grado di cambiare opinione sull’adesione alla Nato se l’ambiente di sicurezza cambia drasticamente. È successo. Ma la questione deve ancora essere affrontata con attenzione, non baseremo le decisioni su un sondaggio d’opinione”. Spiega Nitti: “Significa che, per quanto l’entusiasmo popolare sia cresciuto, non saranno i cittadini a decidere nel merito. Non sarà stabilito tramite un referendum o una petizione. Inoltre un potenziale cambio di rotta non verrà fatto ora. Perché, come è evidente, le condizioni internazionali non sono abbastanza tranquille”.

Nel frattempo Helsinki ha preso la decisione storica di fornire armi all’Ucraina. Il provvedimento è senza precedenti ed è stato firmato dal presidente Sauli Niinistö, sulla base di una proposta di gabinetto. “Questa è una svolta molto importante e atipica per via del percorso storico finlandese”, continua Nitti. Una scelta, prosegue, che esemplifica l’identità del Paese: segue le linee Ue (perché ne fa parte) ma aspetta ad aderire ad alleanze militari che potrebbero mettere in discussione il suo equilibrio. “A livello politico i partiti hanno differenti opinioni. Il Partito di coalizione nazionale (di centrodestra, fa parte del Ppe, ndr), per esempio, si è detto favorevole all’ingresso nella Nato. I socialdemocratici e i partiti di centro mantengono invece una linea più prudente”.

Helsinki e i confini – Prima i vicini da Ovest, poi quelli da Est. La Svezia ha dominato la Finlandia dal 1200 al 1809. Ancora oggi lo svedese viene insegnato a scuola come seconda lingua e in alcune aree del Paese – come la provincia autonoma delle Isole Åland – è l’idioma primario. Poi l’impero zarista ha dato il via al Granducato di Finlandia, rimasto tale fino all’indipendenza ottenuta in occasione della Rivoluzione bolscevica del 1917. I rapporti fra i due Stati sono sempre stati tesi e si sono acuiti nel corso della Guerra d’Inverno, conclusa nel marzo del 1940 con il trattato di Mosca. È in questa occasione che la Finlandia perde circa il 10% del proprio territorio: gran parte della Carelia, alcune isole nel golfo di Finlandia e, a Nord, una parte della penisola di Rybačij (affacciata sul mar di Barents, poco più a Nord di Murmansk). Fra le città passate al dominio sovietico c’è anche Vyborg, considerata una dei centri strategici e culturali (orami ex) finlandesi di maggior rilievo. I finlandesi usano rappresentare il proprio Paese come una donna vestita con un abito tradizionale: nell’immaginario collettivo è stata a lungo raffigurata con un braccio mozzato (più di recente posto dietro la schiena), a simboleggiare l’annessione della penisola di Rybačij all’Urss.

I rapporti con Mosca – “La Finlandia, oggi, ha strette relazioni con la Russia“, prosegue Nitti. “Oltre all’industria, il flusso turistico da Mosca ha avuto sempre trend crescenti, soprattutto nel settore immobiliare. Molti russi hanno case vacanza oltre il confine, cottage estivi”. E il gas? Come si legge sul sito di Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, Helsinki importa tutto il gas che utilizza, e il 97% di questo proviene dalla Russia. Eppure la sua dipendenza non è così alta: usa il gas solo per il 7% (per il resto si affida a legname e nucleare). In ogni caso, la chiave finlandese sembra essere l’equilibrio, come ricorda Nitti: “Rapporti prudenti, conoscenza della storia e dei confini, e dei propri vicini”.

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