A due anni dallo scoppio della pandemia, la lavagna del Coronavirus Resource Center (John Hopkins University & Medicine) segnala quasi sei milioni di morti. E più di 400 milioni di casi nel mondo. È stato contagiato circa un abitante su 20 del pianeta. La mortalità sfiora le 8 vittime ogni centomila abitanti. Un grande risultato se confrontato con il verdetto della Spagnola di cent’anni fa.

Negli anni 20 del secolo scorso, sulla Terra vivevano circa due miliardi di persone. A fine pandemia, le stime di mortalità furono assai incerte, un’ampia forchetta tra 24,7 e 39,3 milioni di vittime. Solo gli studi condotti a fine secolo hanno fissato più in alto l’asticella della effettiva mortalità, valutata in più di 50 milioni di vittime. Ed emerge da qui un primo insegnamento: la gente dimentica subito perché vuole dimenticare. E, perciò, minimizza a ogni livello della società.

Laura Spinney racconta che la gente fu talmente sconvolta da quella devastante esperienza che scelse di proteggersi cancellandone il ricordo. E, quasi ovunque, si decise di optare per il silenzio. In pratica, “ci fu una vera e propria congiura del silenzio per far sì che dalla storia dell’umanità fosse cancellata Ala malattia dei due mondi” (A.W.Crosby, America’s Forgotten Pandemic. The Influenza of 1918, Cambridge, Cambridge University Press: 1989). Minimizzare il rischio delle catastrofi è la strada più facile, come ho scritto su questo blog in tema di disastri naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti e alluvioni. È la strada preferita perfino da chi ha vissuto in prima persona questi disastri, uscendone magari acciaccato ma indenne.

Guardando la distribuzione geografica, la mortalità nel mondo occidentale è imbarazzante (vedi Figura 1, dove numeri e grafico parlano da soli). Due anni sono anche trascorsi dal mio primo post su questo argomento. Era un post a forte rischio di crocifissione, scritto da un cultore della statistica degli estremi, del tutto inesperto di sanità, virologia, epidemiologia; e buttato giù dopo un mese di ricerche bibliografiche su un argomento che non conoscevo affatto. Ero stato stimolato da quanto accadeva in Cina: il mio Laboratorio didattico di Idrologia del Paesaggio è frequentato da parecchi allievi cinesi.

Ieri, gli Stati Uniti denunciavano quasi un milione di vittime, 3 ogni mille abitanti. Regno Unito e Italia circa 2,5, Spagna 2 e Germania 1,5. Per contro, le vittime cinesi sono solo 0,004 ogni mille abitanti e quelle indiane 0,4; nella Corea del Sud sono 0,14 e in Giappone 0,17. Gli scenari pandemici più accreditati prefiguravano più di 5 vittime ogni mille abitanti in Estremo Oriente (India e Cina) ma meno di 0,5 negli Stati Uniti e nei paesi europei più sviluppati. È accaduto l’esatto contrario: un anziano collega idrologo, Gaylon Campbell, diceva che “nessuno crede ai modelli tranne chi li ha costruiti, tutti credono ai dati tranne chi li ha misurati”. Quando i dati sono così lontani dal modello di riferimento, c’è da riflettere.

Lombardia, Liguria, Friuli Venezia Giulia ed Emila Romagna hanno superato quota 3,5. Non sono soltanto le regioni con la mortalità più alta del paese, quasi quattro volte superiore a quella calabrese e sarda, più del doppio di quella campana, le aree classificate come più depresse sotto il profilo sanitario (vedi Figura 2). A scala minore, provinciale e comunale, alcune aree dell’Italia settentrionale hanno stabilito record mondiali di mortalità pandemica.

Ci chiederemo mai il come e il perché di una tale disuguaglianza territoriale, a tutte le scale: mondiale, nazionale e regionale? Probabilmente no.

Nel post del 25 febbraio 2020, due anni fa, scrivevo che “le simulazioni suggeriscono come misure drastiche per ridurre temporaneamente la mobilità urbana (dall’aumentare la percentuale dei viaggi in auto privata per ridurre le possibilità di infezione durante il viaggio, al coprifuoco) abbiano un impatto decisivo nel limitare la diffusione della infezione, riducendo la quota degli individui colpiti e la rapidità con cui l’infezione si propaga. Altrettanto efficace, se non più, si dimostra anche il blocco di ogni flusso da e per i principali poli di attrazione, identificati dalla statistica dei flussi che li raggiungono”.

Citavo lo studio teorico di uno studioso che, come me, vede nella complessità dello spazio a più dimensioni la spiegazione dei fenomeni che indaga. E aggiungevo “quanto sia importante la rete della mobilità nella dinamica di un focolaio urbano. Densità e mobilità della popolazione sono entrambe in rapida crescita; e la mobilità sostenibile è un obiettivo virtuoso che, per contro, espone la città ai cigni neri e ne può addirittura accrescere la vulnerabilità”.

Tracciare il contagio, isolare i focolai e chiudere le vie di trasmissione è stata la soluzione adottata nella maggior parte dei paesi asiatici, grandi e piccoli, comunisti e capitalisti. Era la misura suggerita non solo da un perfetto ignorante come l’autore di questo blog, ma anche dagli esperti cinesi accorsi Italia nei primi giorni di marzo del 2020. Risospinti in patria dal vento delle spallucce dei maggiorenti e dagli ammiccanti omaggi, misti ai doverosi scongiuri, della collettività nazionale.

L’App Immuni poteva funzionare benissimo allo scopo. Infatti, funziona tuttora benissimo se ora la mostro in giro come Super Green Pass, installatosi nel mio attempato smartphone in modo automatico. Nessuno è più in grado di vivere la quotidianità senza questa appendice ma, in Italia come nel resto dell’Occidente, si sono trovate mille scuse per giustificare il fallimento del tracciamento.

Il mondo occidentale può cercare innumerevoli alibi e scuse per il proprio fallimento, ovvero il trionfo dello spirito radicale che Jack London immortalò in un racconto breve: La Legge della Vita. Vari scienziati pensano che solo un fattore-X, magari di origine genetica, sia capace di spiegare la diffusione misteriosamente bassa e dei tassi di mortalità in Giappone e nelle vicine Cina, Corea del Sud e Taiwan. Qualche trovata ci può sempre stare; qualche Trovatore non si farà certo aspettare; e ci saprà guidare qualche gentile cultore dell’abuso della credulità popolare.

Un anno fa scrivevo che “confinamento e tracciamento – declinati in Oriente in modo diverso, ma comunque efficace dai diversi paesi – hanno limitato le vittime. E, paradossalmente, hanno contenuto sia le perdite economiche, sia quelle sociali. L’Occidente, la cui risposta alla pandemia è stata imprigionata nella morsa della desolazione economica e della tragedia sanitaria, non ha saputo farlo”. Quando tutto finirà, se finirà ma presto o tardi finirà, l’Occidente si rifugerà ancora una volta nell’oblio.

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