Un prete di Torino alla guida della sua arcidiocesi. Papa Francesco ha nominato don Roberto Repole arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, unendo in persona episcopi le due sedi. Una scelta più unica che rara nell’episcopato italiano (nel 2000 don Angelo Spinillo fu nominato vescovo della sua diocesi di Teggiano-Policastro), dove, soprattutto per le sedi episcopali più importanti, vengono sempre nominati vescovi che provengono non solo da diocesi, ma anche da regioni diverse. Repole subentra a monsignor Cesare Nosiglia, oggi 77enne, che fu nominato nel 2010 arcivescovo del capoluogo piemontese da Benedetto XVI in vista di una porpora che, però, non è mai arrivata. Ratzinger non gliela diede negli ultimi concistori del suo pontificato e Bergoglio ha scelto di abbandonare, almeno in Italia, la prassi consolidata delle diocesi cardinalizie. Alla fine del 2019 Francesco ha affidato a Nosiglia anche il ruolo di amministratore apostolico di Susa, diocesi di fatto accorpata con quella del capoluogo piemontese.

“Ho il cuore colmo di emozione. La mia nomina ad arcivescovo di Torino e vescovo di Susa era umanamente del tutto imprevedibile” dice don Repole. “La mia nomina – aggiunge – non può essere opera semplicisticamente umana. Nella fede la leggo come l’opera della fantasia e dell’estro dello Spirito. E vivo sicuro che come la mano di Dio non mi ha mai abbandonato in questi anni e come anzi la sua presenza si è fatta con il tempo sempre più intensa, così continuerà ad affiancare i miei passi”. Monsignor Repole è nato il 29 gennaio 1967 a Torino. Dopo gli studi superiori svolti al seminario minore, è stato accolto in quello arcivescovile del capoluogo dove ha frequentato i corsi filosofico-teologici. Ha completato la formazione conseguendo la licenza e il dottorato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 13 giugno 1992. Ha ricoperto numerosi incarichi: vicario parrocchiale, docente di teologia sistematica alla Facoltà teologica di Torino e l’Istituto superiore di scienze religiose sempre del capoluogo, canonico della real chiesa di San Lorenzo, presidente dell’Associazione teologica italiana, preside della sezione di Torino della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, membro del Consiglio direttivo dell’Agenzia della Santa Sede per la valutazione e la promozione della qualità dell’università e facoltà ecclesiastiche. È stato, inoltre, coordinatore diocesano della pastorale universitaria e, per un quinquennio, membro della Commissione ecumenica diocesana. È stato anche collaboratore della parrocchia Santa Maria della Stella a Druento, in provincia di Torino, assistente ecclesiastico diocesano del Movimento ecclesiale di impegno culturale e membro del Consiglio presbiterale. Don Repole sottolinea di essere “certo di non aver mai cercato in alcun modo un ministero come quello che oggi mi viene affidato. E poi ho la grande grazia di dover servire due Chiese che conosco, pur in modo evidentemente diverso. La Chiesa di Torino è la mia Chiesa, tanto amata. È qui che ho ricevuto il dono più bello di tutti, quello della fede, quello della compagnia di Cristo. La Chiesa di Susa ho avuto modo di conoscerla invece soprattutto attraverso diversi incontri di formazione e di ritiro dei preti. Ne ho sempre raccolto la sensazione di una comunità in cui, con semplicità, si serve il Signore e ci si vuole bene”. “Le Chiese di Torino e di Susa – conclude – non hanno solo un glorioso passato, hanno un presente e tale presente può essere stimolante e avvincente. Ciò che offriamo è la straripante bellezza del Vangelo, che può generare senso di vita per i più giovani, sollievo e compagnia per i più anziani, vicinanza e cura per i malati, accoglienza ospitale per tutti i poveri e gli emarginati“.

La nomina del nuovo arcivescovo di Torino si pone sulla linea del declassamento dell’episcopato italiano attuato da Francesco fin dall’inizio del suo pontificato. Il Papa argentino, infatti, soprattutto per le sedi ecclesiastiche più importanti della Penisola, ha prescelto, per lo più, sacerdoti di prima nomina, che non avevano esperienze episcopali alle spalle, o preti di strada, più dediti alla pastorale degli scartati dalla società che con un passato di incarichi nelle rispettive curie diocesane, come avveniva precedentemente. Declassamento che si è concretizzato anche con la drastica riduzione dei cardinali alla guida delle arcidiocesi italiane. Tramontante, con Bergoglio, le tradizionali sedi cardinalizie, attualmente sono soltanto sei le diocesi della Penisola guidate da un porporato. Numero che scenderà presto a cinque con gli 80 anni, il 7 aprile prossimo, del cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, attualmente arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.

Gli altri porporati alla guida di una diocesi italiana sono: Giuseppe Betori a Firenze, che il 25 febbraio compirà 75 anni, l’età canonica delle dimissioni, ma che potrebbe avere una proroga biennale come avvenuto con Nosiglia, Giuseppe Petrocchi a L’Aquila, sulla soglia dei 74 anni, Matteo Maria Zuppi a Bologna, Paolo Lojudice a Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis. Da sottolineare, infine, che l’ultimo concistoro durante il quale Francesco ha imposto nuove berrette rosse si è tenuto il 28 novembre 2020. È molto probabile che alla fine del 2022 il Papa nominerà nuovi cardinali e solo allora si saprà quali arcivescovi italiani riceveranno la porpora, anche perché alcuni di essi hanno un profilo pastorale molto affine a quello di Francesco.

Twitter: @FrancescoGrana

Articolo Precedente

Covid, via libera dell’Aifa alla quarta dose di vaccino solo per i soggetti gravemente immunodepressi

next
Articolo Successivo

Perugia, si indaga sulla morte del biologo no vax Franco Trinca: accusato di omicidio colposo il medico di base che firmò l’esenzione

next