Si avvicina il 27 gennaio, Giornata della memoria. Moni Ovadia, uno degli artisti ebrei più famosi d’Italia, ha lanciato l’idea di una “Settimana delle Memorie”, con cui intende ricordare – in una rassegna prevista proprio dal 25 al 30 gennaio – tutti i genocidi compiuti nel ‘900. L’iniziativa non convince però il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara e il presidente della Comunità ebraica della stessa città, Fortunato Arbib. “La legge istitutiva (n. 211 del luglio 2000) parla di Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”, ha ricordato Arbib in un comunicato reso pubblico il 18 gennaio. “La Comunità Ebraica di Ferrara ha sempre riconosciuto l’impegno di partecipazione attiva degli Organi di Stato e degli Enti cittadini, in particolare delle scuole, nel diffondere in tale giornata la conoscenza dei tragici ed inumani eventi che costituiscono la Shoah”, ma, prosegue Arbib, “il rischio è che con il Festival si abbia un effetto di banalizzazione, diluizione e di spettacolarizzazione di una tragedia unica per finalità, dimensione sia numerica che territoriale, modalità e scientifica ferocia”, ha proseguito il presidente della comunità ebraica.

“Esiste per caso una gerarchia delle vittime, degli stermini e del dolore?“, è la replica di Moni Ovadia, raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it. “Ogni genocidio è una tragedia a sé con le proprie caratteristiche, ma dobbiamo fare uno sforzo per evitare il ‘celebrativismo’”, prosegue l’artista. “Non si sopporta più il politico di turno che il 27 gennaio indossa la kippāh (il cappello ebraico, ndr) ma promuove ancora l’immagine degli ‘italiani brava gente’. Chi è contro la Shoah deve dire anche che è contro tutti i genocidi, e deve ricordare quali sono”.

E spiega cosa lo ha spinto a ideare la “Settimana delle Memorie”: “L’idea mi è venuta quando ho conosciuto Yolande Mukagasana, sopravvissuta al genocidio tutsi nel Rwanda. Indossava al collo un grande ciondolo con la stella di David. Le ho chiesto incuriosito se fosse ebrea, ma lei mi rispose di no: era un simbolo. Mi disse: ‘Ho capito che dobbiamo fare come voi, e ricordare quello che ci è successo'”. Mukagasana sarà ospite di Moni Ovadia a Ferrara venerdì 28 gennaio, mentre la rassegna si aprirà il 25 con il ricordo degli armeni: “Il popolo muto”, dice Ovadia ricordando che non erano riconosciuti come etnia dall’Impero Ottomano. “Ed è solo l’inizio: quest’anno ricorderemo, dal 25 al 30 gennaio al Teatro comunale di Ferrara, anche i curdi e i rom e sinti, ma nei prossimi anni la Settimana delle Memorie sarà anche per gli uiguri cinesi e i nativi delle Americhe. E le vittime del fascismo che, dalla Cirenaica all’Etiopia, furono tantissime”. Ma non solo, sul palco anche le vittime di Stalin, come alla stessa maniera i 26 milioni di sovietici uccisi nell’operazione Barbarossa. Ce n’è per tutti, perché solo così, dice Ovadia, “si può costruire una vera cultura della memoria che sia rispettosa di tutti al di là delle fazioni”. E, confessa al fattoquotidiano.it, “l’ho imparato a mie spese, perché sono stato fazioso in vita mia e non volevo aprire gli occhi sul genocidio che i khmer rossi, con la stessa comunista sul petto, commettevano in Cambogia uccidendo i propri concittadini”.

Il modello, dice Ovadia, è la Germania: “Una nazione che cammina a testa alta perché ha fatto i conti col passato, ha riconosciuto i suoi errori ed ha eretto monumenti in memoria di ebrei, rom e antifascisti. In Italia questo non accade”. Riconosce alcuni passi falsi ma ribatte alle accuse di ‘spettacolarizzare la Shoah’: “E allora che ne è dei film e mostre sullo sterminio degli ebrei?”. E alle critiche del Meis e delle comunità ebraiche risponde: “C’è qualcuno che vorrebbe il monopolio della Shoah”. La sua iniziativa è stata invece approvata dalla giunta leghista di Ferrara ed è stata apprezzata da Vittorio Sgarbi. Il critico d’arte, nella conferenza stampa di presentazione della cinque giorni, ha inserito tra le tragedie a base etnica anche la repressione del popolo palestinese per mano dello stato di Israele. “Era una provocazione nei miei confronti“, dice ridendo Moni Ovadia. “Io da ebreo mi batto per i diritti dei palestinesi, ma bisogna dire che non è un genocidio: definirlo genocidio sarebbe un boomerang anche per gli stessi palestinesi. Si tratta di un culturificio, cioè la negazione dell’esistenza di un popolo tramite occupazione armata prolungata”. Anche su questo aspetto si era espresso il presidente Arbib della Comunità ebraica di Ferrara: “L’espressione usata dall’On. Sgarbi sullo ‘sterminio dei palestinesi perpetrato dagli israeliani’ fa eco all’usuale propaganda del Fronte di Liberazione Palestinese e di Hamas per giustificare il continuo lancio di razzi su una popolazione di civili inermi in Israele”.

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