di Alessandro Pezzini

Questo Paese non perde l’occasione di dimostrare di avere un grosso problema con le priorità. Praticamente in parallelo, Amadeus ha annunciato le co-conduttrici del Festival e la stampa ha ascoltato in anteprima i brani dei Big in gara. Risultato? Le canzoni non se le fila nessuno ma le falangi di tutti si contorcono impazzite nel dire la propria opinione su Drusilla Foer.

Sta per iniziare la nuova edizione di uno dei Festival musicali più importanti, seguiti e longevi al mondo (esordì infatti con Luigi Einaudi al Quirinale e Berlusconi che non aveva ancora iniziato a deliziare l’esigente pubblico delle navi da crociera con i suoi virtuosismi da usignolo) e ciò che ci fa discutere è una parrucca. Non importa se Drusilla Foer, al secolo Gianluca Gori, sia un’artista a tutto tondo e di livello assoluto – che probabilmente lascerà tutti a bocca aperta per la sua performance – perché, insomma, indossa una parrucca, è inserita tra le femmine e quindi il cervello va in tilt.

Non fraintendetemi: non ne faccio una questione da campagna Lgbt-friendly perché richiedo il beneficio del dubbio di poter affermare che avrebbe fatto ugualmente discutere anche l’assenza dall’Ariston di un esponente dell’universo Lgbtqi+.

È andata così: eravamo tranquilli, pensavamo alle nostre cose e improvvisamente ci siamo trovati a gestire una pandemia da libri di storia che ci ha tolto tante libertà e praticamente tutta la dose di spensieratezza che eravamo riusciti ad accumulare. Ci godiamo Sanremo così com’è? Ci godiamo Drusilla Foer per ciò che proporrà dal palco dell’Ariston? No, assolutamente. Polemizziamo, litighiamo, ci scorniamo e una parrucca diventa un tema da allarme rosso in grado di monopolizzare il perpetuo dibattito social, nonostante Berlusconi sia oggi candidato al Quirinale e il suddetto Luigi Einaudi sia, nostro malgrado, impossibilitato ad accettare la nomina dal 1961 per via del problema di salute più grave di tutti.

Molti pillonano (voce del verbo pillonare, ovvero fare del contrasto alla “teoria del gender” una battaglia personale) e gli altri ci discutono animatamente. Indifferenti o indecisi? Pochi, silenziosi, trasparenti.

Perché il virus ci ha tolto la socialità materiale – quella dell’universo e non del metaverso – lasciandoci solo i social, ci ha tolto il bar e ci ha lasciato le toolbar, ci ha tolto gli incontri e ci ha lasciato le riunioni in video, ci ha tolto le strette di mano molli e ci ha lasciato le spunte blu. Ma se fosse arrivato un virus di quelli vecchio stampo che contagiavano i computer e non le persone, lasciando intatta la quotidianità offline ma togliendoci massivamente l’accesso ad internet, mi viene da pensare che ci saremmo sentiti – se possibile – ancora più persi di come ci sentiamo ora.

Dobbiamo fare pace con la digitazione aggressiva e, soprattutto, prendere l’arte per quello che è: la libera espressione di un singolo che racconta inevitabilmente l’anima di una comunità, di una generazione o di un popolo intero. Per fare questo, simpatizzanti e non, non possiamo limitarci a fare di una parrucca il nemico pubblico numero uno. Che poi magari Achille Lauro si presenta villoso e con la canotta sporca di sugo e l’equilibrio democristiano di Sanremo tornerà a governare incontrastato, come ai tempi di Luigi Einaudi Presidente della Repubblica.

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