di Luigi Manfra*

Le accuse più frequenti che i critici delle misure di contenimento della pandemia avanzano al governo riguardano due temi: la limitazione della libertà e la discriminazione tra cittadini favorevoli alla vaccinazione e quelli contrari. L’articolo 32 della Costituzione italiana dice al riguardo: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Il governo, com’è noto, ha reso obbligatorio il vaccino per il Covid-19 soltanto per il personale sanitario, le forze di sicurezza e il personale scolastico, il cui il numero complessivo è di circa quattro milioni, il 17,4% degli occupati totali. Per tutti gli altri componenti della società è previsto, invece, il green pass, vale a dire un’attestazione digitale che consente a chi ha ricevuto il vaccino contro il Covid di avere accesso alle attività commerciali, agli uffici, alle piscine, alle palestre e agli alberghi.

La scelta di questa certificazione, invece che una legge ad hoc come consentirebbe la Costituzione, appare molto discutibile ed è stata presa per motivi di pura opportunità politica, data la composizione eterogenea della maggioranza che sostiene il governo. Sarebbe stato meglio estendere a tutti l’obbligo del vaccino anche se, va detto, il green pass non costituisce una discriminazione contro i non vaccinati ma è uno strumento di protezione per tutti gli altri cittadini che hanno il diritto di non essere contagiati.

Non la pensano allo stesso modo Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, che capeggiano la fronda intellettuale contro l’imposizione del green pass. I due filosofi sostengono che “la discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Tutti sono minacciati da pratiche discriminatorie. Paradossalmente, quelli abilitati dal green pass ancora di più dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi”.

Tralasciando i deliri sulla presunta capacità di uno Stato come quello italiano di sorvegliare i movimenti dei cittadini, gli autori non dicono quali siano gli strumenti con cui potrebbe essere attuato il controllo e le eventuali conseguenze che si verificherebbero sulla vita democratica del paese. Va sottolineato che il green pass contiene i seguenti dati: nome, cognome e data di nascita del vaccinato, i codici relativi alla malattia di riferimento, il Covid-19, la tipologia e il produttore del vaccino e la serie numerica della dose inoculata. Queste informazioni, tutte già note al Ministero della Salute, in uno Stato più tecnologicamente evoluto, non sarebbero state richieste ai cittadini.

Ciò detto, va riconosciuto che la critica al green pass è condivisibile anche se per motivi diversi da quelli adombrati dai due filosofi. Si tratta, infatti, di un espediente che surrettiziamente spinge i cittadini a vaccinarsi per evitare penalità di natura economica e sociale. Più democratico e trasparente sarebbe stato imporre l’obbligo vaccinale per tutti, come del resto si accingono a fare alcuni paesi europei.

In definitiva, l’elemento di fondo di cui non si tiene conto nel dibattito su questo tema è che la salute della collettività è un diritto costituzionalmente rilevante che prevale su eventuali scelte individuali, relative alla libertà di rifiutare eventuali trattamenti sanitari. In altre parole, un cittadino può rifiutare le cure per un tumore o per patologie cardiache di cui soffre, in quanto le conseguenze ricadono esclusivamente su lui stesso, ma non può rifiutare la vaccinazione i cui effetti negativi si ripercuotono sulla collettività.

La tutela della salute della collettività costituisce, inoltre, un bene comune, come l’acqua e l’aria pulita. Come è immediatamente evidente, la proprietà di questi beni appartiene alla collettività, per cui l’uso da parte di un soggetto deve essere tale da rispettare il diritto all’uso per gli altri cittadini.

Un fiume pulito è a disposizione di tutti, ma se viene inquinato, non può essere utilizzato per usi potabili o per irrigare i terreni. Il comportamento di alcuni fruitori impedisce, dunque, l’uso del bene da parte degli altri. Lo Stato per tutelare la quantità e la qualità dei beni comuni spesso emana delle leggi a loro tutela come avviene per la qualità dell’aria e dell’acqua. Analogamente, sulla base del dettato della Costituzione, lo Stato può promulgare una legge che imponga trattamenti sanitari obbligatori, come già avviene per una parte dei vaccini destinati all’infanzia. La salute pubblica è un bene da preservare, la cui salvaguardia prevede comportamenti responsabili da parte di tutti. La libertà di rifiutare trattamenti sanitari trova un limite proprio nella Costituzione che tutela in via prioritaria la salute della collettività.

* Già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma, si occupa di economia internazionale, soprattutto in relazione al Mediterraneo.

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