La Banca d’Italia è istituto di diritto pubblico ma al suo capitale partecipano gran parte della banche italiane, oltre a soggetti come Inps e Inail o alcune casse previdenziali. I due soci principali sono Intesa Sanpaolo che detiene il 16% delle 300mila quote della banca ed Unicredit che possiede l’8%. Tutti gli altri soci hanno quote dal 3% a scendere. Banca d’Italia genera profitti: nel 2020 sono stati quasi 6,3 miliardi di euro, in calo dagli 8 dell’anno prima. Gran parte finiscono nelle casse del Tesoro (lo scorso anno 5,9 miliardi) mentre il resto viene distribuito ai soci in forma di dividendi o destinato a riserva.

In base ad una legge del 2013 il diritto al dividendo si ferma(va) però ad una quota del 3%. Intesa Sanpaolo, ad esempio, non ha diritto al 16% dei dividendi ma solamente al 3%. Nell’ipotesi, esemplificativa, che venissero distribuiti 100 milioni la banca guidata da Carlo Messina ne incasserebbe 3 e non 16, gli altri 13 finirebbero in un’apposita riserva della banca centrale. Non solo, la legge dispone anche l’obbligo di cessione delle quote di partecipazione che superano il 3%, cosa che sia Intesa Sanpaolo che Unicredit hanno iniziato a fare, incassando qualche centinaia di milioni a testa, ma che è meno facile di quanto si creda. Chi compra le quote infatti immobilizza capitale che non rende nulla nella parte che supera il 3%.

Un sistema che è visto con un certo malumore dai banchieri. A inizio dicembre Messina ricordava ad esempio che “Le tempistiche sono, secondo me, troppo accelerate. Oggi si parla di proposte di legge per portare questo livello al 5% ma qui c’ è un punto che non è chiarito: i soggetti che devono detenere queste quote devono essere italiani ma non possono avere più del 3% del capitale della Banca d’Italia. Questo crea un vincolo che, secondo me, dovrebbe essere risolto”.

La correzione dal 3 al 5% è arrivata sotto l’albero di Messina. Una mossa che significa qualche milione in più di dividendi ma, soprattutto, una maggiore facilità nel vendere parte della partecipazione. Per il 2021 Bankitalia ha disposto la distribuzione di 340 milioni di dividendi ai soci, Intesa Sanpaolo avrebbe dovuto ricevere 10,2 milioni, con la quota alzata al 5% ne incasserà 17 milioni. Esattamente lo stesso Unicredit, mentre per tutti gli altri soci non cambia nulla. Su questi quasi 7 milioni aggiuntivi a testa, le due banche pagheranno un imposta del 27,5%, un obolo da quasi 4 milioni per il Tesoro.

I veri vantaggi riguardano però la cessione delle quote. Il capitale di Banca d’Italia vale 7,5 miliardi di euro. La fetta di Intesa Sanpaolo (16%) ha un controvalore di 1,2 miliardi. Negli scorsi anni la banca ha già provveduto, così come Unicredit, a cedere una parte della sua partecipazione incassando quasi 900 milioni di euro. Dovrebbe ora vendere un altro 11%, per un controvalore di 820 milioni. Unicredit dovrebbe ridurre a sua volta la sua quota di un altro 3%, incassando teoricamente 225 milioni. Aver alzato al 5% la soglia del dividendo dovrebbe agevolare le vendite, accrescendo la quota che diventa appetibile, poiché redditizia, per potenziali acquirenti.

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