di Federica Pistono*

Palestina 2048 (Lorusso Editore, 2021) è un’antologia, composta di dodici racconti, in cui altrettanti noti scrittori palestinesi immaginano il futuro della Palestina nel 2048, a cento anni di distanza dalla Nakba, la catastrofe palestinese, quando più di 700.000 persone furono scacciate dalle loro case e costrette a fuggire.

La Nakba esercita ancora la sua influenza sugli scrittori palestinesi. Forse proprio il ruolo centrale del passato e il ricordo della Nakba che, bel lungi dall’essere dimenticata, si rinnova quotidianamente nelle esperienze attuali del popolo palestinese, hanno impedito, fino a oggi, agli scrittori di avvicinarsi al genere della fantascienza. La brutalità del presente e la crudeltà del passato hanno sempre occupato nell’immaginario palestinese un posto esclusivo, tale da escludere fantastiche visioni di un possibile futuro.

Il genere fantascientifico è stato, finora, poco seguito dagli scrittori palestinesi anche per la scarsa adattabilità dei suoi canoni alla situazione palestinese. Il romanzo di fantascienza, infatti, presenta spesso lo schema dell’opposizione del protagonista all’antagonista. Nella narrativa palestinese, l’idea di un “nemico” è, in gran parte, assente. Raramente gli Israeliani sono raffigurati come “nemici”. Nel romanzo Ritorno a Haifa, di Ghassan Kanafani, per esempio, il lettore segue la visita di due coniugi palestinesi alla città abbandonata vent’anni prima, e l’incontro con Myriam, una donna israeliana, che ora abita la casa che è stata loro rubata. Invece di dipingerla come un’occupante crudele, convinta del diritto del suo popolo alla terra palestinese, Kanafani ci consegna il ritratto di una donna sensibile, una vittima della Shoah che prova vergogna del male che il suo popolo ha inflitto ai Palestinesi.

La fantascienza, però, rappresenta un’occasione straordinaria di ripensare il presente, quasi una licenza di re-inventare la realtà. Il futuro può essere utilizzato come una tela bianca sulla quale proiettare inquietudini e angosce del presente.

Nel più ampio contesto arabo, questo atto di riformulazione del presente diventa un’opzione letteraria sempre più importante. In Egitto, per esempio, le delusioni seguite al fallimento della Primavera araba e la volontà di sfuggire ai rigori della censura ispirano romanzi dalle cupe tinte distopiche, come i testi di Basma Abdel Aziz e di Mohammed Rabie, tutti chiaramente influenzati da Utopia di Ahmed Khaled Tawfiq.

Questa raccolta di racconti di fantascienza, edita nel 2019 da Comma Press con il titolo Palestine + 100 e ora pubblicata in italiano con il titolo Palestina 2048, rappresenta quindi una novità di rilievo tanto nella letteratura palestinese quanto nel panorama della narrativa araba tradotta in italiano in quest’ultimo scorcio del 2021.

I dodici racconti sono pervasi dalla percezione dell’assenza, dal senso di perdita, dall’idea che la tecnologia, pur progettata per attenuare il conflitto e alleviare il trauma, riesca soltanto a inasprire la sofferenza. Sembra che gli autori, nello sforzo di ridisegnare il presente e immaginare il futuro, non sfuggano ai canoni della distopia.

Ne Il canto degli uccelli, di Saleem Haddad, e in Un fatto comune, di Rawan Yaghi, i giovani protagonisti sono perseguitati dalle voci dei fratelli morti. Ne La chiave, di Anwar Hamed, gli Israeliani sono tormentati da incubi infestati dai fantasmi dei Palestinesi. Nel racconto L’eroe personale, di Abdalmuti Maqboul, l’assenza del nonno, nella vita della madre, induce uno scienziato a creare un’invenzione rivoluzionaria.

Il racconto N, di Majd Kayyal, ci presenta una soluzione cosmologica al conflitto arabo-israeliano: la creazione di due universi paralleli che occupano il medesimo spazio geografico.

Selma Dabbagh, già nota al pubblico italiano per il romanzo Fuori da Gaza (Il Sirente, 2017), immagina, nel racconto Ci dorma su, dottor Schott!, un mondo in cui è la composizione etnica del dna a determinare lo status degli abitanti. La maledizione del ragazzo palline di fango, di Mazen Maarouf, narra la storia dell’ultimo palestinese vivente, colpito dalle radiazioni fino a essere imprigionato in un cubo di vetro, senza poter morire.

Si delinea così la Palestina del 2048, una terra dai contorni onirici in cui assistiamo alla perpetuazione del dolore e dell’ingiustizia. I racconti si inquadrano dunque nel filone distopico, di cui assumono le tinte fosche e gli accenti privi di speranza.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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