“Voglio ciò che mi spetta, lo voglio perché è mio, m’aspetta”. Il ritornello di uno dei brani culto di fine anni ’90, Forma e Sostanza dei C.S.I., appare perfetto per raccontare umori e aspirazioni del Trabzonspor attuale capolista della Süper Lig turca. Trabzon, o Trebisonda se si opta per la versione italiana, rappresenta quella provincia dell’impero svilita, frustrata e talvolta persino defraudata da un centro che, come un buco nero, tutto assorbe e inghiotte. Nel caso turco si tratta, ovviamente, di Istanbul, cuore economico e politico del paese, la cui centralità è perfettamente visibile anche solo limitandosi al calcio: 65 campionati della massima divisione e 58 vittorie dei club della capitale (Galatasaray, Fenerbahçe, Besiktas e Başakşehir), con due sole intruse, il Bursaspor nel 2010 e, appunto, il Trabzonspor nella decade compresa tra il 1975 e il 1984, quando conquistò 6 titoli.

Le big turche sono tifate in ogni angolo del paese, un po’ come accade in Italia con Juventus, Inter e Milan. L’eccezione è rappresentata dalla fascia nord-orientale dell’Anatolia che si affaccia sul Mar Nero, luogo dove sorge la città di Trabzon. Lì non sono ammesse deroghe: la fede può essere una sola e abbraccia i colori claret & blue della squadra cittadina, adottati – così narra la leggenda – da un serie di kit sportivi ricevuti dall’Aston Villa poco tempo dopo la fondazione, avvenuta nel 1967. È un retaggio antico quello dell’opposizione al centralismo di Istanbul, basti pensare che la città fu fondata dai greci e, dopo essere stata capitale dell’Impero di Trebisonda, mantenne la sua indipendenza per un tempo relativamente lungo, resistendo a più riprese agli sforzi di assimilazione da parte degli ottomani. Fino all’apertura del Canale di Suez, Trabzon ha rappresentato la porta di collegamento tra Europa e Medio Oriente, prima di vedere ridotta la propria importanza.

Ahmet Ağaoğlu, l’attuale presidente del Trabzonspor, era uno studente quando, nel 1976, Trebisonda festeggiò il primo titolo della propria storia, che coincideva anche con il primo titolo in assoluto vinto da una squadra non di Istanbul. Il diretto interessato ha ricordato come quello fu un evento che travalicò l’aspetto puramente sportivo. “Non era solo Trabzon a essere campione”, ha detto, “ma tutta l’Anatolia, anzi tutti coloro che in Turchia non si identificavano con il potere di Istanbul. Era come se in Turchia si fosse levata una nuova voce”. Negli anni successivi il Trabzonspor ha continuato a vincere fino a raggiungere la stella che spetta ai club con in bacheca almeno cinque titoli. Poi, dalla metà degli anni ’80, è ritornato alla sua dimensione subordinata, fino a quando nella stagione 2010-11, guidato dai gol di Burak Yilmaz, ha chiuso il campionato in testa alla classifica a pari punti con il Fenerbahçe, perdendo il titolo per gli scontri diretti.

Poco dopo la fine di quel campionato è scoppiata la Calciopoli turca, che ha visto il Fenerbahçe, protagonista di una imperiosa rimonta nel finale di stagione, quale epicentro di un intreccio di corruzione e partite truccate, tanto da essere squalificato dalla UEFA e sanzionato con la mancata partecipazione alle coppe europee per diversi anni – decisione in seguito confermata in sede di appello anche dal TAS. Il Trabzonspor che il 14 settembre 2011 debuttava nella fase a gironi di Champions League battendo 1-0 a San Siro l’Inter di Gasperini era una squadra già uscita dalla competizione ai preliminari, ma ripescata proprio a causa della squalifica del Fenerbahçe. Eppure, nonostante i pronunciamenti della UEFA, la Federcalcio turca si è sempre rifiutata di assegnare quel titolo al Trabzonspor. Coloro che nelle province dell’impero avevano sempre sostenuto la tesi che vede l’establishment di Istanbul proteggere, nei momenti critici, i suoi beniamini, non potevano che rafforzare le proprie convinzioni.

Dieci anni dopo sono stati i bilanci a offrire una nuova chance al Trabzonspor. Le big di Istanbul sono piene di debiti e, pur possedendo un budget tre-quattro volte superiore rispetto a quello dei rivali dell’Anatolia, devono confrontarsi con spese altrettanto massicce che creano notevoli squilibri contabili. Fino al 2018 anche il Trabzonspor era una società finanziariamente a rischio, ma una decisa politica di contenimento delle spese (i costi salariali sono passati da 40 a 20 milioni l’anno) è riuscita a risanare il club senza incidere troppo sulle prestazioni sportive. Merito sia di un vivaio ben (ri)strutturato, sia di qualche operazione di mercato particolarmente riuscita: nel primo caso rientra la cessione di Yusuf Yazici al Lille per 16 milioni di euro, nel secondo il trasferimento di Alexander Sørloth al RB Lipsia per 20. L’attuale Trabzonspor è un mix tra prodotti locali, come il portiere Ugurcan Çakir (25) e il regista Abdulkadir Ömür, e elementi di esperienza con un passato in campionati importanti. Solo tra gli ex Serie A, ad esempio, figurano Marek Hamsik, Gervinho, Bruno Peres, Andreas Cornelius, Vitor Hugo e Stefano Denswil. La parola chiave rimane equilibrio, tanto sportivo quanto economico. L’11 dicembre il Trabzonspor ha perso la sua prima partita in campionato dal marzo scorso senza tuttavia subire particolari contraccolpi, visto il buon margine di vantaggio sulle inseguitrici. Il grande obiettivo, inseguito ormai da 37 anni, rimane alla portata. “Non c’è dubbio, sarebbe un grandissimo risultato”, conclude Ağaoğlu, “ma a differenza delle squadre di Istanbul, la cui identità è legata ai trofei vinti quasi come se l’unica cosa che conti sia riconducibile a un dato numerico, noi possediamo un metro di valutazione diverso. Qui, titolo o meno, la gente è incredibilmente orgogliosa delle proprie origini”.

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