Si cura chi può pagare: esami diagnostici e visite urgenti sì, ma solo dai privati. Perché la sanità pubblica della Sardegna è al collasso e il sistema sanitario ricorda sempre più quello a stelle e strisce. Organici ridotti all’osso, liste d’attesa infinite, servizi smantellati costringono gli ammalati a mettere mano al portafoglio: che sia per una radiografia, una visita specialistica o persino una risonanza magnetica da 400 euro.

Ma ora c’è chi dice basta e propone di presentare il conto alla Regione. “Inondiamo gli uffici dei nostri amministratori di fatture delle prestazioni effettuate a pagamento, con le relative richieste di rimborso”: a lanciare l’idea è Giorgio Madeddu, medico di famiglia stanco di dover assistere ai disagi dei suoi pazienti. “Mi sento in debito nei loro confronti perché, oltretutto, sono loro che mi garantiscono lo stipendio. È inaccettabile che siano costretti ad affidarsi alla sanità privata perché non ricevono risposte adeguate, anche nei tempi, da quella pubblica. Rimborsarli per le spese sostenute, non per scelta ma per costrizione, mi sembra il minimo. E aggiungerei anche i costi per spostarsi da un capo all’altro dell’isola”.

Quella di Madeddu (che ha fatto della solidarietà una missione di vita e non a caso è anche fondatore e responsabile scientifico di un’associazione con gruppi di auto aiuto, chiamata “Amici della vita”) non è una proposta di facciata, ma ha l’ambizione di essere portata avanti con il coinvolgimento dei sindaci di tutta la Sardegna. Ecco perché ha inviato una lettera formale ai presidenti di Anci e Cal, Emiliano Deiana e Andrea Soddu (quest’ultimo è anche sindaco di Nuoro), chiedendo il loro aiuto. “I sindaci potrebbero raccogliere tutte le certificazioni di accertamenti, i mancati rispetti delle priorità diagnostiche e le fatture delle varie prestazioni. Il passaggio successivo sarebbe presentare alla Regione, rivendicando l’immediato rimborso, le fatture anticipate da malati e disabili sardi, certamente meritevoli di maggiore attenzione e rispetto di quelli attualmente riservati loro”.

Giorgio Madeddu mette poi in risalto la sua delusione, umana e professionale: “La mia quotidianità incrocia la malattia e la disabilità, sperimento strazio e rabbia quando i miei pazienti in condizioni precarie, riconosciuti dal legislatore esenti dalle spese sanitarie, non ricevono adeguata assistenza diagnostica e rapidità terapeutica gratuita. Mi permetto di segnalarvi che il 30 per cento dei miei assistiti (ma anche degli altri centri) probabilmente non trova risposte nell’offerta diagnostica territoriale alle richieste “urgenti” mie ma anche degli specialisti che la sanità privata interpellata suggerisce”. Poi aggiunge: “Non intendo dilungarmi sulla decadenza e inadeguatezza degli ospedali che entrambi avete recentemente segnalato e sgomentano le coscienze di quanti li ritengano indispensabili per la comunità soprattutto per i meno solidi economicamente e meno protetti dal clientelismo sanitario praticano da tempo”.

Intanto continuano le proteste di piazza. Sabato 13 migliaia di cittadini hanno partecipato a due manifestazioni organizzate a Nuoro da “Vivere a colori”, associazione delle pazienti oncologiche, e da Cgil, Cisl e Uil dei pensionati, ma anche dal comitato “Sos Barbagia Mandrolisai”. Iniziativa imponente, per lanciare ancora una volta un forte grido di dolore per la sanità malata che nega il diritto alla salute, come hanno evidenziato le donne di “Vivere a colori”. “Siamo costretti a ricorrere ai privati o percorrere centinaia di chilometri, altrimenti non possiamo essere curate. L’ospedale San Francesco è al collasso e i servizi della medicina territoriale sono spariti”. Ma Nuoro non è un’eccezione e la folla arrivata dal resto della Sardegna (Ogliastra, Goceano, ma anche Sulcis Iglesiente e Campidano) ne è esempio drammaticamente eloquente.

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