Il primo round di confronto nel consiglio di Telecom si chiude con una tregua armata. Grazie alla mediazione del socio Cassa Depositi e Prestiti che ha spezzato una lancia a favore dell’amministratore delegato Luigi Gubitosi. E ha tenuto così a bada l’azionista francese Vivendi almeno fino al consiglio di febbraio. Intanto Bruxelles ha concesso il via libera incondizionato al controllo congiunto della rivale Open Fiber da parte del tandem Cassa Depositi e Prestiti-Macquarie. E la società pubblica Infratel ha fatto sapere che ad ottobre i lavori per la posa della fibra nelle aree bianche sono stati realizzati al 72 per cento.

Non c’è che dire: c’è grande fermento nel mondo delle telecomunicazioni italiane perché si sta entrando in una fase decisiva per lo sviluppo delle infrastrutture di nuova generazione e per il futuro dell’ex monopolista pubblico. Non a caso i sindacati sono sul piede di guerra come testimonia una pesante nota diretta al ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. “Mentre si denuncia da mesi lo stato del settore delle tlc e in particolare il tema del ritardo sulla infrastutturazione di una rete in fibra unica, la priorità è convocare Dazn”, si legge in un comunicato congiunto di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil. “Sia chiaro, lo sgarbo, per non dire lo sfregio, i titolari del Mise non lo stanno facendo tanto alle scriventi organizzazioni sindacali quanto al Paese, alle lavoratrici e ai lavoratori del settore tlc e agli utenti del calcio via streaming. La mobilitazione diventa inevitabile in assenza di una pronta convocazione”.

Per i sindacati come per gli investitori, Telecom e il suo piano industriale sono un tema centrale. Ma per avere chiarimenti bisognerà ancora attendere. Per ora l’unica certezza è che Gubitosi resta al suo posto. Tuttavia il braccio di ferro con il socio francese Vivendi non promette niente di buono per il manager e per il suo progetto di holding company. Secondo l’azionista d’Oltralpe il piano è roba vecchia che difficilmente riuscirà a creare valore risollevando il titolo in Borsa. Di qui, dopo risultati trimestrali poco convincenti, la volontà di voltare pagina non solo cogliendo l’occasione di separazione della rete dal resto dell’azienda, ma avviando anche un’intensa ristrutturazione con un deciso taglio dei costi. Per Parigi non basta certo la partecipazione al progetto del cloud nazionale per garantire il futuro di Telecom, abbattere il pesante debito e distribuire laute cedole. Ci vuole un intervento più netto. Così, nel consiglio, convocato su richiesta dei francesi, è stato “definito il percorso per la preparazione e condivisione del piano strategico 2022-2024 da approvare nella riunione del prossimo febbraio”. Detta in altri termini, redde rationem rimandato.

Intanto Open Fiber sta andando avanti nella posa della fibra, come riferiscono i dati di Infratel. La società pubblica, controllata dal Mise, ha spiegato che ad oggi sono 7262 i cantieri aperti da Open Fiber nelle aree bianche, zone cioè dove non sono previsti investimenti degli operatori telefonici nei prossimi tre anni. In totale l’azienda, che sta sviluppando una rete in fibra (FTTH) e con ponti radio (FWA), ha raccolto commesse per 1,6 miliardi. Dall’avvio operativo del Piano Bul nel 2016 sono in totale 2.897 i comuni in commercializzazione, 1.551 i comuni collaudati positivamente, ma i comuni completati con comunicazione ultimazione impianto di rete (CUIR) sono stati 149. In sintesi, il piano per posare la fibra nelle aree meno redditizie avanza. Sia pure con ritardo rispetto alle iniziali aspettative. L’operazione sarebbe molto più veloce se si unissero le forze di Open Fiber a quelle di FiberCop, la società della rete di Telecom.

Ma anche ieri, al termine del consiglio, l’ex monopolista pubblico ha chiarito che “non è in corso alcuna negoziazione relativa alla rete o altri asset strategici”. E’ innegabile però che il via libera di Bruxelles al passaggio di mano della quota di Enel al duo Cdp-Macquarie è uno step fondamentale anche per valutare la possibilità di una fusione fra le due realtà. Ora però si pone un problema di valorizzazione degli asset di Telecom rispetto ad Open Fiber che, nei termini dell’accordo con Cdp-Macquarie, vale oltre 5 miliardi. Il tema non è secondario visto che per il mercato l’intera Telecom vale poco più di sette miliardi. Per non parlare del fatto che non sembra il progetto rete unica abbia il sostegno del governo Draghi soprattutto nella versione in cui Telecom manterrebbe il 51% della nuova azienda dell’infrastruttura di nuova generazione.

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