“Lavoro in un bar di Napoli dalle 6 del mattino alle 15 tutti i giorni, senza alcun giorno di riposo, per 800 euro al mese. Ho 50 anni, una figlia che va a l’università, io sono separato e devo pagare l’affitto e mantenere mia figlia. Mi sfruttano, ma se lascio chi mi prende a lavorare a 50 anni? Non trovo nulla, non so davvero che fare”, racconta Mario. Carlo è un maître e ha lavorato per due anni in un ristorante siciliano, nel Siracusano. Assunto con un contratto in regola, formalmente per 6 ore e 40 al giorno, in realtà lavorava più del doppio delle ore effettivamente retribuite: “Attaccavo alle 10 e mezza del mattino e lavoravo fino a pomeriggio inoltrato, poi riattaccavo alle 17.30 per staccare verso mezzanotte e mezza o l’una di notte. Tutti i giorni. Il titolare ci tirava dietro bicchieri, forchette, ci insultava davanti ai clienti. Ho resistito solo perché ho un bambino piccolo, altrimenti sarei andato via molto prima”. Alberto è nella ristorazione da quando aveva 14 anni: “In questo settore si lavora dalle 10 ore al giorno in su, le vessazioni e le offese non si contano, le minacce di licenziamento per qualsiasi cosa sono la regola. Ti fai male sul posto di lavoro? In ospedale devi dire che è successo a casa, come se i medici fossero stupidi…”.

Sono decine le testimonianze simili a queste raccolte da ilfattoquotidiano.it dopo l’avvio della campagna No al lavoro sottopagato. Restituiscono un quadro agghiacciante del settore della ristorazione e dei bar dove, da Nord a Sud, dai piccoli paesi alle grandi città, le condizioni offerte a giovani alle prime esperienze o professionisti esperti con decenni di esperienza alle spalle sono fuori da ogni perimetro di legalità. Chi lavora nel settore sa già in partenza che non esistono né sabati né domeniche né festività a casa, sa che molto spesso va incontro ai cosiddetti turni spezzati che prevedono di lavorare sia a pranzo che a cena per un totale orario che supera molto spesso le dodici ore giornaliere. A questa mole di lavoro, però, non corrispondono né stipendi congrui né condizioni professionali dignitose, tra ferie negate, straordinari non pagati, giorni di riposo inesistenti né retribuiti e né recuperati. Una realtà che stride con le dichiarazioni dei tanti proprietari di ristoranti, bar e pizzerie che sui giornali e in tv si lamentano della mancanza di personale a suon di “cerco camerieri e non trovo nessuno”, “tutti rifiutano per stare a casa con il reddito di cittadinanza”, “offro un lavoro in regola ma i giovani vogliono il weekend libero”.

“Lavoravo anche nel giorno di riposo, pena ritorsioni” – “Avevo un solo riposo a settimana, ma se quel giorno c’erano prenotazioni, venivo chiamato in turno per 25 euro. Potevo rifiutare? Se lo facevo, c’erano le ritorsioni”, prosegue Carlo. “Ad alcuni colleghi negavano perfino la pausa cena nei giorni successivi se si rifiutavano. In tanti come me sono scappati da quel posto, ma il problema è che nel siracusano praticamente tutti i ristoratori propongono condizioni del genere: prendere o lasciare. Quello che mi lascia amareggiato è l’assenza di controlli. Sì, viene ogni tanto la polizia municipale a verificare che il ristoratore abbia pagato il suolo pubblico di cui dispone, ma altri controlli non ne ho mai visti. E tutti fanno quello che credono, nella totale impunità. Non siamo tutelati da nessuno”.

“Questo mestiere è come una droga: o hai la passione nel sangue o non resisti. E’ un lavoro che dà tante soddisfazioni se trovi il giusto compromesso, ma ti toglie tutto, gli amici, le feste, il riposo, il tempo libero”, racconta dal canto suo Alberto. “Si vive solo per lavorare. Cosa ho vissuto in 38 anni di lavoro in questo settore? Di tutto. Se va bene hai un giorno di riposo a settimana, se fai le stagioni ti promettono che i riposi mancati verranno pagati a parte, ma poi non succede. Per fortuna ci sono ristoratori onesti, che trattano il personale con dignità, ma sono mosche bianche. Il nostro non è nemmeno considerato un lavoro usurante per lo Stato, nonostante le condizioni disumane”.

“250 euro a settimana per 10-12 ore al giorno” – Diversa la storia di Giuseppe, uno chef palermitano con oltre 30 anni di esperienza. Durante l’ultima stagione di ingaggio è stato assunto come chef di cucina con un contratto part-time da 4 ore al giorno: “Feci presente che percepivo il reddito di cittadinanza, per cui chiesi di essere messo in regola a tempo pieno. Mi risposero di no perché avrebbero dovuto pagare troppe tasse: o part-time o nulla. Ho dovuto accettare perché ero fermo da più di due anni e alla mia famiglia mancava anche il pane in tavola ormai. Lavoravo circa 10/12 ore al giorno per 250 euro a settimana. I camerieri, invece, dei ragazzi giovani, venivano pagati dai 25 ai 30 euro al giorno per 13 ore di lavoro”.

“Si lavora con le mani fasciate, mal di schiena, ustioni” – “In Italia non ho mai avuto un contratto di lavoro”, aggiunge Gabriele. “Sempre in nero, sottopagato. Vige il pensiero: ‘Io ti sto dando il lavoro, mi dovresti solamente ringraziare per questo’. Se si tratta di ristoranti piccoli, la mancanza di rispetto e le offese da parte dei titolari sono praticamente giornaliere. Malattie e ferie non sappiamo cosa siano, si lavora con le mani fasciate, mal di schiena, febbre, ustioni. Qualsiasi cosa tu abbia non è un problema, devi continuare”.

“Avevo un part-time ma stavo al bancone 17 ore. Per 800 euro al mese” – Poi c’è Carlotta, che dopo un anno di ricerca ha finalmente trovato lavoro in un noto bar di Roma. “Un contratto di due mesi part-time. Per il mese di aprile avrei avuto diritto a un giorno a settimana di riposo per stare 17 ore al giorno dietro un bancone a preparare caffè. La paga? 800 euro al mese. A maggio ho avuto diritto a tre giorni di riposo in tutto perché il Primo maggio, giorno di festa, il bar era aperto e ho dovuto lavorare le solite 17 ore. Anche per maggio ho ricevuto 800 euro di stipendio pur saltando un giorno di riposo. Non un euro in più né un riposo compensativo. Dopo questi due mesi mi è stato offerto un contratto part time: 17 ore al giorno, un giorno a settimana di riposo come in precedenza, ma con una piccola differenza: avrei dovuto accettare la cassa integrazione. Ho rifiutato. Preferisco morire di fame e non percepire il reddito di cittadinanza ma essere pulita con la coscienza”.

Tirocini a basso costo e lavoro “grigio” – Il lavoro nero nel settore dilaga, soprattutto nelle piccole realtà, ma a farla da padrone sono i tirocini che regalano manodopera a costo bassissimo – o, nel caso dell’alternanza scuola-lavoro per gli studenti degli istituti alberghieri, perfino nullo – e il cosiddetto lavoro grigio, ovvero l’assunzione di personale messo in regola solamente per una piccola parte delle ore effettivamente lavorate, che tipicamente sono almeno il doppio di quanto dichiarato e spesso non retribuite nemmeno “fuori busta”. A mancare sono soprattutto i controlli da parte degli organi competenti, ma non solo: quando arrivano, i datori di lavoro se la cavano con multe decisamente basse rispetto agli incassi e che non costituiscono un vero deterrente al fenomeno. Elisa è di Bergamo, ha studiato per cinque anni all’alberghiero e ha all’attivo numerose esperienze di alternanza scuola-lavoro: “Non ho fatto solamente i tirocini obbligatori previsti dal piano di studio, ma anche una serie di stage infra-annuali lavorando a Natale, Pasqua e festività di ogni genere”, racconta a ilfattoquotidiano.it. “A ogni esperienza, ti ritrovi sempre a tornare a casa con le tasche vuote nonostante tu abbia lavorato per due settimane come uno schiavo, tutti i giorni, con gli stessi orari di un normale lavoratore pur essendo solamente un tirocinante. Di fatto le strutture che ricercano aiuti per le festività non sono obbligate a darti una paga minima, nemmeno di un euro, e prendono a lavorare studenti come me, a rotazione. Dovrebbe essere interesse della scuola stessa evitare questi episodi, eppure tutto tace e intanto i ragazzi vengono sfruttati. Non che le cose vadano meglio nel ‘mondo del lavoro’: appena si accorgono che sei appena uscita da scuola, con la scusa che non hai anni di esperienza alle spalle ti fanno dei part-time ma poi ti fanno lavorare molte più ore di quelle segnate e retribuite, il tutto per una paga misera”.

“Lo chef è andato via, quello dopo mi ha sostituito con un amico” – Lorenzo ha 25 anni, è diplomato all’istituto alberghiero e lavora come cuoco. “Ho già diverse esperienze nel curriculum perché trovare un lavoro da mantenere sul lungo periodo è praticamente impossibile. Il primo lavoro fu in una nota catena di ristoranti che offre cibo fast food. L’accordo era 1000 euro per 12 mensilità, una paga assolutamente inadeguata rispetto a tutte le ore che richiedevano di svolgere. Successivamente ho trovato lavoro in un hotel vicino a casa, il contratto era full time da 40 ore settimanali per 1.250 euro al mese più tredicesima e quattordicesima, in più avevo diritto al vitto pagato, dalla colazione alla cena. La paga era buona, peccato che lavorassi 60 ore a settimana con un solo giorno di riposo. Le ore in più si segnavano per poterle successivamente usare come ferie. Ero subentrato dopo il pensionamento di un cuoco e la brigata si era impegnata a formarmi: a detta dello chef avrei potuto essere confermato con l’indeterminato. Dopo pochi mesi, però, è andato via anche lo chef e la persona che è arrivata dopo voleva solo schiavizzarmi e fare mobbing. All’ultima scadenza di contratto ha fatto entrare un suo amico al posto mio. Nel corso del tempo ho collezionato molte altre esperienze lavorative, ma non ho mai trovato datori che rispettassero le regole e le normative. Non è vero che i ragazzi non hanno voglia di lavorare, è che non vogliamo piegarci all’essere sfruttati. Io, a 25 anni, mi sono stancato di scendere a compromessi su cose che mi spettano di diritto per regalarle all’imprenditore di turno che giustifica questo suo comportamento per via della forte pressione fiscale”.

Un settore fondato sullo sfruttamento? – Sono solo alcune delle tantissime testimonianze pervenute da addetti ai lavori di ogni parte d’Italia. Non episodi sporadici ma consuetudini così simili e così frequenti che delineano l’esistenza di un settore che vive di irregolarità e che, causa assenza di controlli sistematici e rigorosi, va avanti “grazie” allo sfruttamento del personale e alla contrattazione al ribasso di stipendi e tutele. Un segreto di Pulcinella che tutti sembrano conoscere ma che chiunque finge di non vedere. Ristoratori leali e onesti esistono, ovviamente, ma, come raccontano molti addetti ai lavori, sono vere e proprie “mosche bianche” in un mondo professionale dove a farla da padrone sembrano essere i colleghi che sfruttano il personale fino all’osso. Con buona pace della concorrenza leale.

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