“Tu quella paga non te la meriti, non lavori abbastanza. Ma lo sai quanto mi vieni a costare?”. Questa la risposta che Gabriele, studente universitario di 24 anni, si è sentito dare dal proprio datore di lavoro alla richiesta di essere retribuito secondo gli accordi e secondo quanto disposto dal contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti. A settembre è partito dal Lazio per partecipare alla vendemmia dell’uva del Moscato d’Asti nelle Langhe, dove il vino è un business da centinaia di milioni di ricavi. L’esperienza è durata poche settimane: “Quando ho chiesto di essere pagato come da contratto mi hanno mandato via”. Da Nord a Sud, le imprese agricole continuano a giurare che mancano braccianti per raccogliere l’uva, le olive, i pistacchi di Bronte, i carciofi. Le accuse sono sempre le stesse: “Colpa del reddito di cittadinanza”, “i giovani preferiscono passare la giornata al bar”. Ma le testimonianze raccolte da Ilfattoquotidiano.it per la campagna No al lavoro sottopagato raccontano un’altra storia: pagamenti in nero, contratti non rispettati, straordinari non retribuiti e nemmeno correttamente segnalati, lavoratrici donne pagate meno degli uomini, soprusi e caporalato.

“La paga pattuita era 6,5 euro l’ora: ne ho presi 4,6” – Gabriele aveva trovato il posto nelle Langhe tramite un annuncio sul portale lanciato da Coldiretti nell’aprile 2020 per sopperire alla carenza di manodopera straniera nel settore agricolo, causa chiusura dei confini per il Covid. “Lavoravamo dalle 7 del mattino alle 12 e dalle 14 alle 19″, racconta. “Per telefono avevamo pattuito una paga oraria di 6 euro e 50 centesimi all’ora. Lavoro la prima settimana e chiedo gentilmente di essere pagato in regola, come da contratto firmato, a fine lavoro. A questa mia richiesta, il datore di lavoro mi ha allontanato dall’azienda e dell’attività di vendemmia e rimandato a casa perché, secondo lui, la mia richiesta di essere pagato come da contratto era fuori luogo. Dopo alcune settimane mi sono state retribuite le 55 ore di lavoro che ho effettivamente svolto, ma la paga oraria era sensibilmente inferiore a quanto pattuito. Per 55 ore di lavoro ho ricevuto 253,85 euro netti in busta paga per una media di 4,61 euro all’ora. La retorica del “nessuno vuole lavorare” e “col reddito di cittadinanza stanno tutti a casa” lascia il tempo che trova se queste sono le condizioni che propongono a chi è disposto a rispondere agli appelli televisivi sulla mancanza di manodopera in agricoltura”.

Gli appelli sulla manodopera che manca – Gli appelli sulla mancanza di lavoratori nel settore agricolo si susseguono ormai da più di un anno. Soprattutto dalla fine del primo lockdown, a fine aprile 2020, complice la chiusura delle frontiere e l’impossibilità per i braccianti dell’Est Europa tradizionalmente impiegati nella raccolta di raggiungere le campagne italiane, le cooperative e aziende agricole hanno iniziato a lanciare allarmi sulla tenuta del settore. “Rischiamo che già dalle prossime settimane non arrivi il prodotto sugli scaffali”, proclamavano gli operatori di settore. Le associazioni di categoria, come la Cia e Alleanza cooperative agroalimentari, chiedevano a gran voce la reintroduzione dei voucher e il coinvolgimento dei percettori di reddito di cittadinanza per sopperire a questa carenza. E gli appelli non sono rimasti circoscritti a quella situazione eccezionale. Ancora oggi basta aprire i giornali o fare una ricerca su Google per trovare gli stessi appelli e le stesse accuse.

“La paga non è conforme alla legge” – Ma perché non si trovano lavoratori disposti nel settore agricolo? Quali sono le condizioni proposte ai lavoratori che si propongono per andare a lavorare nei campi, a raccogliere frutta e verdura o a partecipare alla vendemmia? Non esattamente esaltanti. Né, in molti casi, rispettose delle normative che regolano questo settore. Nonostante un contratto regolarmente firmato e comunicato agli enti preposti, le paghe ricevute spesso non rispecchiano gli accordi pattuiti. “La paga non è conforme alla legge, non ci danno mai ciò che ci spetterebbe”, racconta Giovanna. “Basterebbero controlli più serrati in tutte le aziende da parte dell’ispettorato del lavoro. Mensili, non una volta all’anno. Così verrebbero fuori i lavoratori in nero, i braccianti sottopagati, minacciati, offesi, umiliati”, commenta Maria.

“Alle donne 40 euro al giorno, agli uomini 45. E straordinari non pagati” – Lorella ha 42 anni, è una bracciante agricola pugliese che lavora in questo settore dal 2013: “Potrei scrivere un libro sulle umiliazioni che ho subito e ho visto. Nell’azienda dove lavoro le paghe non sono regolari, le donne percepiscono 40 euro a giornata mentre gli uomini 45 euro. Per loro noi donne valiamo 5 euro in meno anche se facciamo lo stesso lavoro. Lavoriamo 8 ore al giorno più una mezz’ora di pausa che dobbiamo recuperare, se facciamo una mezz’ora o un’ora in più di lavoro non ci viene mai retribuita“. Straordinari gratis, dunque. E non basta: “In busta paga risultano 67,50 euro per ogni giornata di lavoro, ma questo solo per far quadrare i conti e far figurare il compenso che andrebbe correttamente corrisposto, in realtà calcolano meno giornate di quelle effettivamente svolte e quindi noi riceviamo molto meno rispetto a quanto ci spetterebbe per le giornate lavorate. Su un mese di 30 giorni lavorativi, per esempio, ne fanno risultare solo 15, così da far risultare che quello che ci danno è la somma corretta. Poi, io dai 40 euro a giornata devo togliere 10 euro di gasolio perché uso la mia macchina personale per raggiungere tutti i giorni il posto di lavoro facendo 61 chilometri al giorno. Rimborso carburante? Mai visto un centesimo”.

Coldiretti: “E’ il datore che gestisce il rapporto con il lavoratore” – Contattato da ilfattoquotidiano.it, il responsabile Lavoro di Coldiretti, Romano Magrini, commenta così le testimonianze dei braccianti: “Il portale Coldiretti serve a far incontrare la domanda con l’offerta, in questo ha svolto perfettamente la propria funzione, poi è il datore di lavoro che decide come gestire il rapporto con il lavoratore in autonomia”. Tutto regolare, quindi? “Noi come associazione di segnalazioni di questo genere dai lavoratori non ne abbiamo mai ricevute. Che possano esistere queste situazioni non lo escludo ma, ripeto, è l’imprenditore alla fine a gestire il rapporto di lavoro quotidianamente. Del resto, i contratti proposti, come raccontate, erano regolari sulla carta, solo che era poi il datore di lavoro che retribuiva in maniera illegittima non rispettando gli accordi. Se questo dovesse essere confermato, questi imprenditori non stanno rispettando la legge e va assolutamente condannato questo comportamento. Il rispetto dei contratti collettivi è un prerequisito per aderire alla nostra organizzazione, il rispetto della legge è fondamentale. Siamo l’associazione che ha voluto la legge per il contrasto al caporalato proprio per evitare che possano esserci situazioni di sfruttamento di qualunque genere, anche semplicemente una retribuzione più bassa di quanto stabilito. Da parte nostra continua a esserci un invito pressante al rispetto delle regole, così come noi facciamo una battaglia per vedere riconosciuto il giusto prezzo ai prodotti, allo stesso modo vogliamo che al lavoratore venga riconosciuta la giusta retribuzione”.

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