Correva l’anno 2000 – stagione più, stagione meno – e in Italia avveniva una rivoluzione nel mondo del calcio; questa veniva fatta al ritmo delle tv a pagamento che decidevano di entrare a gamba tesa nel mondo dello sport inondando la Lega Calcio con una carrellata di miliardi. Alle società di calcio non parve vero di ricevere cotanta grazia e reagirono stendendo tappeti rossi alle suddette televisioni private, accettando di buon grado misure che avrebbero tanto lentamente quanto inesorabilmente modificato il volto di quello che era lo sport popolare per eccellenza.

In quegli anni la fruizione del pallone si stava modificando sotto i nostri occhi: il più pagano dei riti liturgici stava diventando qualcosa di nuovo. Qualcosa di più remunerativo e più comodo per tutti. Niente più noiosi 0-0 sotto la pioggia in strutture fatiscenti, niente più calca all’ingresso del settore, niente più urla sguaiate. La collettività aveva deciso di rinunciare a tutto questo in favore di un divano, un telecomando, di telecamere personalizzate e decine di replay per gustare al meglio ogni dissezione di ciascuna partita giocata in qualsiasi punto del globo terrestre in qualunque orario del giorno e della notte.

Qualcuno però si opponeva e lo faceva con cori, boicottaggi, striscioni, sfoghi sulle bacheche dei social media (in ascesa più o meno contemporanea a questi operatori televisivi). Questi erano principalmente gli aficionados dello stadio: tifosi radicalizzati agli scomodi seggiolini in plastica, facinorosi ultras oppure semplici spettatori che non pensavano che dare carta bianca alle televisioni di fare il bello e il cattivo tempo nel mondo del calcio fosse una buona idea.

Quella battaglia fu combattuta più o meno aspramente e fu persa. Inequivocabilmente persa. Questo lo possiamo dire andando avanti rapidamente nella storia di cent’anni. Quel segmento di tifosi irriducibili si è assottigliato irrimediabilmente: una parte ha semplicemente smesso di seguire il pallone, un’altra si è lasciata ammaliare dal fascino noioso delle pay tv, qualcun altro ha deciso di fruirne in altro modo distaccandosi da quelle logiche commerciali esasperate, scegliendo territori più “neutri” popolati da squadre femminili, popolari, giovanili, di quartiere e quant’altro.

La decisione di Dazn, rimasta – suo malgrado verrebbe da dire – l’unica depositaria del calcio nostrano in tv (anzi su dispositivi Ott, come si confà alla valanga digitale che ha investito qualunque settore) di cambiare in corso d’opera le condizioni di abbonamento ha causato il malcontento di molti. In particolare, parecchie persone hanno avuto da ridire: a inizio stagione le condizioni di offerta erano diverse e avrebbero permesso la fruizione condivisa della partita di pallone. Probabilmente è vero, e ci sarà modo di appurarlo nell’adeguata sede legale per la tutela dei consumatori. Vedremo.

Nel frattempo, noi preferiamo concentrarci su chi – e oggi erano in parecchi – ha impiegato 15 anni a passare dal combattere per il diritto di andare allo stadio in santa pace e a un prezzo accessibile al fare le barricate per avere un servizio televisivo a un prezzo decente, che continuasse a far sentire costoro avvinghiati al mondo del pallone, nonostante ne siano ormai tanto lontani quanto lo è il divano di casa dal la Bombonera. Si badi bene, questo non è un discorso nostalgico – nel 2005 i meccanismi di potere erano decisi da chi deteneva il potere economico esattamente come nel 2021 – bensì un discorso di scelta di battaglie per le quali vale la pena investire il proprio tempo.

Vogliamo impiegare le nostre energie residue per poter andare allo stadio in santa pace o per vedere una partita in diretta streaming con poca latenza?

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