Mentre si pone l’obiettivo del 90% della popolazione vaccinata e quando ormai sono in arrivo antivirali specifici anti Covid il settore dei farmaci – non sviluppati per la malattia innescata da Sars Cov 2 ma che si sono rivelati efficaci in determinate situazioni – ha raggiunto alcuni importanti risultati. Il 28 settembre sono stati approvati dall’Agenzia italiana per il farmaco, Anakinra, Baricitinib e Sarilumab. L’anno scorso in piena pandemia e contro una malattia ancora sconosciuta e feroce si impiegò a Napoli un farmaco in regime off label, il Sarilumab, un antinfiammatorio già in uso per la cura dell’artrite reumatoide. Un farmaco che è in grado di “bloccare la cosiddetta ‘cascata infiammatoria’ che si verifica, come effetto collaterale spesso grave, con l’uso delle CAR-T”, spiega al Fattoquotidiano.it il dottor Vincenzo Montesarchio, Direttore Uoc Oncologia Azienda ospedaliera dei Colli, Napoli, dove si utilizzò anche il Tocilizumab simile al Sarilumab.

“Le CAR-T rappresentano una terapia innovativa utilizzata in Oncoematologia per la cura di alcuni tumori. La ‘cascata infiammatoria’ provoca la stessa polmonite, di tipo interstiziale, che viene scatenata dal Covid-19”, continua Montesarchio. Sulla scorta della somiglianza dei due quadri clinici quindi, nel febbraio 2020, con il dottor Paolo Antonio Ascierto si discuteva dei promettenti risultati pubblicati, ottenuti su 21 pazienti trattati in Cina con Tocilizumab che è un farmaco simile a Sarilumab e che era stato utilizzato con lo stesso approccio (bloccare la cascata infiammatoria) per curare la polmonite innescata dal virus della pandemia in corso. In forza della ragione che ci ha portato a utilizzare questa arma terapeutica e l’esperienza, anche se solo su 21 pazienti, fatta dai colleghi cinesi, ci ha indotto a trattare i primi pazienti con questi due potenti farmaci immunologici”.

Dottor Montesarchio, come si è svolta la sperimentazione vera e propria del farmaco?
Dopo una rapida esperienza fatta su una trentina di pazienti ricoverati al Cotugno, con polmonite interstiziale da Covid-19, e avendo riscontrato una buona efficacia su parte degli stessi abbiamo disegnato, con il dottor Francesco Perrone dell’Istituto nazionale tumori di Napoli e con i colleghi infettivologi e rianimatori dell’Azienda dei Colli, uno studio clinico chiamato “TOCIVID-19 che prevedeva l’arruolamento di circa 2.000 persone. Nel frattempo abbiamo avuto la possibilità di utilizzare Sarilumab, simile al Tocilizumab, ma somministrato per via sottocutanea a 15 pazienti con gli stessi ottimi risultati. Va precisato che entrambi i farmaci vanno somministrati in un’unica dose e, se le condizioni cliniche e la risposta sugli indici infiammatori lo indicavano, poteva essere rifatta una somministrazione dopo 24 ore”.

Il Sarilumab è consigliabile anche in caso di sintomatologie più lievi o moderate?
“In realtà, in breve tempo ci siamo resi conto che piuttosto che sintomatologie lievi/moderate, era necessario identificare il ‘giusto paziente’ trattato nel ‘giusto tempo’: rapido aggravamento dei sintomi respiratori, evidenza Tac di polmonite interstiziale, indici infiammatori alti e/o in rapido incremento, numero di linfociti ancora buono. In altre parole, il paziente con una polmonite di lunga durata, con danno polmonare irreversibile, magari già intubato è un paziente in cui questi farmaci non trovano indicazione: se la cascata infiammatoria ha già provocato molti danni, possiamo anche bloccarla, ma questo non si riflette necessariamente in un recupero funzionale dei polmoni o degli altri organi danneggiati”.

Quali sono attualmente i risultati terapeutici del Sarilumab?
“Tra i 15 pazienti da noi trattati con Sarilumab, 10 hanno rapidamente risposto al trattamento con recupero in 24-72 ore della funzionalità respiratoria, delle condizioni generali e del miglioramento degli indici infiammatori. Dei 5 pazienti che non hanno avuto beneficio dal trattamento bisogna sottolineare che erano tutti pazienti intubati, con più basso numero di globuli bianchi (linfociti) e più alti indici infiammatori. Il trattamento, laddove fatto nel tempo giusto e al giusto paziente, ne migliora la velocità di ripresa e ne riduce i tempi di ospedalizzazione e il rischio di ricorso alla rianimazione. I dati, oramai ampiamente noti su Tocilizumab, confermano questa iniziale esperienza da noi fatta con Sarilumab”.

Era più conveniente puntare fin dall’inizio alle cure farmacologiche anti Covid rispetto invece agli investimenti realizzati per i vaccini? Anche per non dovere ricorrere a vaccinazioni di massa? Quali le differenze di approccio?
“Assolutamente no, le malattie virali, tranne alcune per le quali si sono trovati farmaci antivirali molto efficaci, si debellano con i vaccini. Certamente la ricerca doveva e deve proseguire su due fronti: i vaccini e i farmaci capaci di bloccare i danni che il virus ha provocato. A mio giudizio la vaccinazione di massa, ben condotta, nel rispetto delle indicazioni in termini di numero di dosi e tempi di somministrazione, resta il caposaldo per debellare una malattia per la quale non vi è cura. Di pari passo la ricerca deve proseguire anche per migliorare danni e relativi sintomi provocati dal virus”.

Che ne pensa del protocollo standardizzato per il primo intervento anti Covid, vigile attesa e uso di paracetamolo?
“La gran parte delle persone che si infettano con questo virus ha un decorso asintomatico o con pochi sintomi e quindi è sufficiente la ‘vigile attesa’, senza bisogno di somministrare farmaci. Con una febbre di 38° o superiore ha senso somministrare il paracetamolo. In ogni caso, ci sono situazioni che evolvono improvvisamente e rapidamente: deve essere colto il rapido mutare delle condizioni cliniche e quello che ha assoluta importanza sono le cosiddette ‘comorbidità’, se presenti. Il paziente anziano, che ha malattie immunologiche, neoplasie in trattamento, malattie cardiache, diabete, obesità, ipertensione, insufficienza respiratoria deve essere attenzionato, vanno colti eventuali sintomi che peggiorano il quadro clinico e avviato a rapido trattamento e/o ospedalizzazione”.

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