Una donna è morta a seguito di un aborto negato. È successo in Polonia, a Pszczyna, ed è raccontato dal quotidiano ‘Gazeta Wyborcza’. La trentenne aveva chiesto di poter interrompere la gravidanza in seguito alla perdita di liquido amniotico, ma i medici si sono rifiutati: lo scorso anno la Corte di Cassazione polacca aveva stabilito l’incostituzionalità dell’aborto per malformazioni fetali gravi. Il feto, gravemente malformato, è morto in utero e meno di 24 ore dopo è deceduta anche lei.

Gli avvocati della famiglia della vittima hanno spiegato che i medici hanno “confermato la diagnosi di difetti congeniti”, ma hanno aspettato “la morte del feto nell’utero” per evitare l’aborto nel rispetto “della legge vigente che limita le possibilità di un aborto legale”. L’ospedale di Pszczyna ha espresso “sofferenza” per quanto accaduto, assicurando che “i medici hanno fatto tutto ciò che era loro consentito fare, hanno combattuto una dura battaglia con la paziente e con il suo bambino”. In una nota si legge che “tutte le decisioni mediche sono state prese tenendo conto delle disposizioni legali vigenti in Polonia”. Il ministero della Sanità ha incaricato il Fondo nazionale della Salute di indagare su quanto accaduto nell’ospedale di Pszczyna, come riporta il quotidiano ‘Rzeczpospolita’. Il caso ha determinato un’ondata di proteste: alcuni attivisti per i diritti delle donne hanno deciso di scendere in piazza intonando lo slogan: “Non una di più”.

In Polonia, al momento, sono penalmente perseguibili e perseguiti, il medico che pratica un aborto e chiunque aiuti in qualunque modo una donna a interrompere la gravidanza. Si stima che siano oltre 120mila quelle che tentano di andare all’estero ogni anno per aggirare le restrizioni. Le attiviste e le organizzazioni pro-choice hanno avviato su internet servizi informativi e di supporto, fra cui la linea telefonica +48 22 29 22 597, e quando riescono inviano il “kit” per l’aborto domiciliare con misoprostolo e mifepristone paesi dove l’aborto non è legalizzato.