La giudice Iris Ilotovich Segal del Tribunale della famiglia di Tel Aviv ha deciso che Eitan Biran, il piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, deve tornare in Italia dove c’è la sua residenza abituale. La notizia è stata diffusa dai media israeliani che citano fonti legali. Il magistrato doveva stabilire se il caso del bimbo di 5 anni, che ha perso padre, madre e fratellino nel disastro della funivia, rientrasse nelle fattispecie previste dalla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione dei minori, firmata sia da Italia sia da Israele. Una strada intrapresa dalla zia paterna Aya Biran Nirko, affidataria secondo la magistratura italiana della tutela del bambino, che si è rivolta al Tribunale di Tel Aviv dopo che Eitan è stato portato senza consenso in Israele dal nonno materno Shmuel Peleg. Tra le due famiglie è in atto uno scontro che ha portato anche alla presentazione di una denuncia.

“Il Tribunale non ha accolto la tesi del nonno che Israele è il luogo normale di vita del minore né la tesi che abbia due luoghi di abitazione”, scrive la giudice nel verdetto sentenza in cui impone il rientro in Italia accogliendo il ricorso di Aya Biran, zia paterna del piccolo e affidataria legale. Lo scorso 11 settembre, invece di restituire il bambino alla zia Aya a Pavia, Shmuel Peleg lo fece uscire dal territorio nazionale in direzione della Svizzera da dove poi con un aereo privato lo portò a Tel Aviv. Una mossa difesa dalla famiglia Peleg secondo cui non “c’erano altre scelte” in nome del “bene” di Eitan. E il nonno Shmuel Peleg, in una intervista ai media, spiegò di aver agito così visto che aveva “perso la fiducia nella magistratura” italiana. Una affermazione che già allora sembrò adombrare una delle possibili tesi di parte a favore della permanenza definitiva di Eitan in Israele. A fronte dei fatti, Aya Biran Nirko rivolse al Tribunale un’immediata istanza per il rientro in Italia del piccolo. Il nonno è indagato in Italia per sequestro di persona e anche la procura del Canton Ticino ha aperto un fascicolo. Aya Biran si è rivolta al Tribunale della famiglia di Tel Aviv per il “rientro immediato” in Italia in base alla Convenzione dell’Aja.

Nell’udienza di apertura dello scorso 23 settembre – a 4 mesi esatti dalla tragedia della funivia – la giudice israeliana aveva favorito una intesa “temporanea” tra i due rami familiari (Biran e Peleg) in base alla quale Eitan nella sua routine quotidiana ha passato, in attesa della decisione definitiva, tre giorni a settimana alternativamente con la zia Aya e con il nonno Shmuel Peleg, la cui figlia Gali – sorella della mamma del bambino – ha annunciato di volerne chiedere l’adozione. L’accordo – avevaspiegato gli avvocati di entrambe le parti chiedendo al tempo stesso il silenzio dei media – si è basato sulla volontà di mantenere “la privacy del bambino, che in questo momento ha bisogno di tranquillità” e di cui vanno protette “sicurezza e integrità”. Nei giorni scorsi le parti hanno depositato le loro memorie dopo accese discussioni avvenute in aula. Come da protocollo la magistratura ha poi trasmesso la decisione all’Autorità centrale israeliana, incaricata nel Paese della gestione della Convenzione. Questa Autorità – che dialoga con la sua omonima italiana – a sua volta ha informato i legali di entrambe le parti del verdetto emesso dalla giudice. Il verdetto può essere appellato da entrambe le parti e questo complica i tempi di un possibile rientro di Eitan in Italia.

“La famiglia è determinata a continuare la battaglia in ogni modo possibile nell’interesse di Eitan, il suo benessere e il diritto a crescere in Israele come i suoi genitori si augurano” fa sapere la famiglia Peleg, il cui portavoce Gadi Solomon ha annunciato ricorso contro la sentenza. “Questa riguarda solo il suo allontanamento dall’Italia, il suo arrivo in Israele e non il bene e il futuro del minore”.

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