Non era favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ma salvataggio di vite umane non solo legittimo ma obbligatorio. Questo è quanto sostiene – in estrema sintesi – la procura di Agrigento che lo scorso 7 ottobre ha chiesto l’archiviazione per l’indagine a carico della nave Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans. L’episodio riguarda il salvataggio in mare di 30 migranti tra cui una bambina di due anni, due donne incinte e 4 minori non accompagnati, avvenuto il 9 maggio del 2019, quando cioè Matteo Salvini era ministro dell’Interno.

“Ultimo viaggio per la nave dei centri sociali Mare Jonio: bloccata e sequestrata. Ciao ciao”, così il leader della Lega aveva commentato sui social il sequestro della nave dopo essere approdata a Lampedusa, il 10 maggio del 2019. Il giorno prima la nave italiana aveva recuperato le persone a bordo di un gommone in zona Sar libica senza avvisare il centro di coordinamento in Libia. L’imbarcazione era peraltro salpata senza alcune certificazioni e come aggravante dell’immigrazione clandestina aveva fatto entrare in territorio italiano più di 5 persone. Queste le accuse mosse, a vario titolo, al capitano Massimiliano Napolitano e all’armatore Giuseppe Caccia. Accuse mosse dopo l’intervento della Guardia di finanza, intervenuta quando la nave è arrivata in acque italiane e formalizzate dalla procura di Agrigento che dopo due anni di indagini – interrogatori ai migranti e immagini video della Mar Jonio – ha ritenuto che lo svolgimento dei fatti non prevede reati.

Cos’è successo? I fatti sono ricostruiti nelle 24 pagine della richiesta firmata dal procuratore aggiunto Salvatore Vella e dalla sostituta Cecilia Baravelli che hanno sentito i testimoni e visionato le immagini acquisite dalla Mare Jonio, a bordo della quale c’era pure una giornalista di La7, Chiara Proietti D’Ambra: “Il gruppo di migranti si era imbarcato da una spiaggia nei pressi di Sabratha (Libia), città costiera posta ad ovest di Tripoli, dopo aver trascorso del tempo più o meno lungo in una ‘safe house‘ nei pressi di Sabratha, vigilata da libici armati che indossavano abiti militari”, scrivono i magistrati agrigentini.

Alle 4.40 del mattino “i libici armati li avevano fatti salire a bordo di un gommone di circa 6-8 metri con motore fuoribordo, compresa una bambina molto piccola. Alcuni migranti si posizionarono a cavallo dei tubolari, perché dentro il gommone non vi era spazio sufficiente per tutti. Durante le prime 13/15 ore di navigazione il gommone aveva navigato senza problemi, con mare abbastanza calmo, successivamente aveva iniziato a sgonfiarsi e imbarcare acqua”. A questo punto a bordo si era scatenato il panico: “La paura si era impadronita delle persone a bordo e tutti avevano cominciato a pregare, perché la maggior parte di loro non aveva giubbotti di salvataggio e non sapevano nuotare – così hanno raccontato sei migranti di diverse nazionalità ai magistrati siciliani -… Dopo 40 minuti avevano avvistato una barca a vela (Alex&Co, ndr), seguita da una barca più grande (la Mare Jonio, ndr) che li aveva salvati. Al momento del salvataggio il gommone era già parzialmente sgonfio e con circa 10 centimetri d’acqua dentro lo scafo, mista al carburante che era fuoriuscito dalle taniche situata nel fondo del gommone”. Salvati “from hell”, dall’inferno: è quel che rispondo i naufraghi quando dalla barca a vela chiedono loro da dove venissero.

Secondo questa ricostruzione, Vella e Baravelli non hanno dubbi: “È convinzione di quest’ufficio che il gommone verde con a bordo i migranti fosse un’imbarcazione che si trovava in una evidente situazione di pericolo, per cui si doveva temere per la salvaguardia della vita umana in mare”. Per queste ragioni “sussisteva a carico del comandante della Mare Jonio l’obbligo di prestare soccorso e assistenza alle persone presenti a bordo del gommone verde e di provvedere al successivo trasporto in un luogo sicuro di sbarco (Pos), alla luce di quanto sancito dalle disposizioni normative internazionale e nazionale”. Ma perché l’equipaggio della Mare Jonio non avvisa il centro di coordinamento e soccorso libico? Perché in Libia c’è “una situazione da scenario di guerra civile”, risponde Caccia agli inquirenti.

E perché salpano senza certificazioni? “Mare Jonio non era tenuto a dotarsi di alcuna certificazione Sar per le attività di salvataggio di vite umane in mare, poiché non esisteva nell’ordinamento italiano alcuna preventiva certificazione diretta alle imbarcazioni civili per lo svolgimento di tale attività”, questo scrivono i magistrati agrigentini. E spiegano: “Quando la normativa italiana parla di navi da salvataggio fa riferimento alle imbarcazioni armate per il recupero e salvataggio di altre imbarcazioni e non al salvataggio di vite umane come si ricava dalle prescrizioni tecniche richieste per tale tipo di imbarcazioni. Riguardo, invece, all’aggravante dell’immigrazione clandestina, per avere fatto entrare più di 5 persone su territorio italiano, gli inquirenti sottolineano: “Una normativa nazionale che imporrebbe un numero massimo di naufraghi salvabili si porrebbe probabilmente in contrasto con le norme internazionali a tutela della vita umana in mare che prevedono che nelle situazioni di emergenza legate a un naufragio è responsabilità del solo comandante dell’imbarcazione di salvataggio decidere quante persone imbarcare a bordo, strappandole dalla morte in mare. Decisione che deve essere presa in modo da non compromettere la stabilità della propria imbarcazione e conseguentemente le vite degli uomini a bordo (equipaggio e naufraghi salvati)”.

Dopo la richiesta della procura di Agrigento, guidata da Luigi Patronaggio, si attende ora la decisione del gip. Intanto da Mediterranea sottolineano: “Ancora una volta un’inchiesta sul nostro operato si avvia a conclusione, sancendo che non vi è stato nulla di ‘antigiuridico’ o ‘penalmente rilevante’ nelle nostre scelte. Anzi, esse sono state e continuano ad essere giuste e corrette di fronte alle continue violazioni dei diritti fondamentali e del diritto internazionale e nazionale, ai veri e propri comportamenti illegali e criminali tenuti dagli Stati”. Un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico dell’equipaggio di Mare Jonio è stata aperta anche dalla procura di Ragusa. In questo caso l’episodio riguarda il salvataggio di 27 migranti che dopo 38 giorni in mare a bordo di una petroliera Maersk Etienne, nel settembre del 2020. Tra gli accusati a Ragusa figura anche Luca Casarini, storico leader delle “tute bianche”, il movimento nato all’interno dei no global tra la fine degli anni 90 e il 2000. L’indagine è ancora in fase preliminare.

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