Se l’auto piange, costringendo i big del settore a fermare gli impianti e limitare la produzione, i chip sorridono. O meglio i colossi dei semiconduttori festeggiano bilanci da record e quotazioni di Borsa che corrono ormai da più di un anno verso l’alto. La penuria di offerta a livello globale di micro-chip sta mettendo in grosse difficoltà interi settori produttivi, a partire dalle case automobilistiche in tutto il mondo, ma anche produttori di telefonini, videogiochi e qualsiasi comparto usi le memorie di silicio per far funzionare i propri apparecchi. È un classico collo di bottiglia, dove la domanda è superiore all’offerta e questo ovviamente avvantaggia l’industria dei semiconduttori che può spingere sulla leva dei prezzi.

Minori volumi, rispetto a una domanda che corre e che ne vorrebbe di più, ma venduti a livelli di prezzo unitario più elevato, ingrassano comunque i conti dei big del settore che hanno da poco chiuso i bilanci dei primi sei mesi del 2021 con risultati record. E non è un caso che il più grande produttore mondiale, la Taiwan Semiconductor Manifacturing Co. (Tsmc) abbia già messo le mani avanti, approfittando della fame di chip, per annunciare un aumento dei prezzi dei propri prodotti tra il 10% per i prodotti più sofisticati fino al 20% per quelli più basici usati non a caso nell’industria dell’auto, proprio quella che più patisce il crunch di offerta.

Anche senza gli aumenti già prospettati, Tsmc ha chiuso i conti dei primi sei mesi del 2021 con un rialzo dei ricavi del 20%. Nel secondo trimestre poi il fatturato è aumentato del 28% sul trimestre dell’anno prima. Non solo, i margini di profitto crescono a dismisura con gli utili operativi su del 39% e gli utili netti del 36%. Ora le nuove stime sui futuri aumenti dei prezzi indicano che il trend si consoliderà ulteriormente anche in futuro. Le previsioni formulate da S&P Global market Intelligence indicano ricavi per il 2021 a 57 miliardi di dollari contro i 48 miliardi del 2020, con un margine lordo che secondo Goldman Sachs arriverà a superare il 70% dei ricavi nel 2022.

L’Oriente la fa da padrona, con il grosso de costruttori che operano nel Sud Est asiatico, ma il clima di ottima salute nei conti pervade un po’ tutto il settore. Nvidia ad esempio porterà i suoi ricavi, sempre secondo S&P Global Market Intelligence, da 11 miliardi di dollari a oltre 16 miliardi a fine di quest’anno, con proiezioni di un balzo a 25 miliardi di dollari nel 2022. Texas Instrument dovrebbe aumentare il suo giro d’affari da 14 miliardi a 18 miliardi nel 2021. Amd ha visto una progressione del fatturato dai 6,7 miliardi pre-Covid, ai 9,7 miliardi già a fine del 2020, con previsioni di incremento a 15 miliardi per quest’anno. Stesso copione per Mediatek e Broadcom. Per la prima, il 2021 punta a vendite per 17 miliardi di dollari contro i 12 miliardi del 2020. La seconda passerà da 22 miliardi pre-Covid ai 27 miliardi per la fine del 2021. In scia anche la franco-italiana STM che ha chiuso i primi 6 mesi del 2021 con ricavi per 6 miliardi di dollari, in crescita sul giugno del 2020 del 40% e con una redditività operativa triplicata passando da 309 milioni a 943 milioni di dollari.

Del resto la World semiconductor trade statistic stima, per il mercato mondiale dei chip, un valore di giro d’affari di 550 miliardi di dollari per il 2021 con un balzo del 25% sul 2020 e con una corsa che proseguirà anche nel 2022 con ricavi globali proiettati a 606 miliardi di dollari. E il mercato di Borsa ha già cavalcato il nuovo scenario di un comparto che incrementerà la sua già consistente redditività. I titoli sono volati da tempo. Stm è passata dai 15 euro di marzo del 2020 ai quasi 38 euro di questi giorni. Taiwan Semiconductor ha triplicato dall’inizio della pandemia i suoi prezzi in Borsa. E in generale il settore ha raddoppiato i suoi valori di mercato in poco più di un anno.

Così lo sbilancio tra domanda in forte crescita, a partire dai mesi post primo lockdown del 2020, e magazzini dei produttori tenuti a secco per la pandemia, hanno creato quel collo di bottiglia, spesso tipico delle fasi di ripartenza delle economie congelate. Miopia da parte dei produttori di chip certo, ma anche qualche speculazione, forse voluta, sull’effetto scarsità che si è rivelata un’arma formidabile per spingere sui prezzi. Sta di fatto che ora il mondo dell’auto e dell’industria in genere deve frenare la ripartenza e in ogni caso finirà per scaricare sul consumatore finale l’onere dei maggiori prezzi. La soluzione ovviamente sarebbe quella di incrementare l’offerta, ma non si costruiscono impianti dall’oggi al domani. I governi, Usa in testa, stanno provando a fare le veci promettendo investimenti anche pubblici per nuovi poli produttivi. Magari liberandosi dalla stretta dipendenza dai produttori asiatici. Qualcuno pare aver trovato la soluzione. E’ di questi giorni l’annuncio di Google che si costruirà in casa i wafer necessari. Bisogna però avere le spalle grandi e grande liquidità da investire. Non è da tutti.

Articolo Precedente

Osservatorio europeo sul fisco: “Le banche Ue realizzano 20 miliardi di utili l’anno in 17 paradisi fiscali”. Anche Mps, Intesa e Unicredit

next
Articolo Successivo

Per le grandi aziende il Covid è alle spalle: dividendi a livelli pre-crisi. E mentre i salari sono fermi, le paghe degli ad salgono del 19%

next