di Matteo Maria Macrì

Di recente in Italia, a causa del disastro pandemico, si è “scoperto” di avere una grossa carenza di medici e come tipicamente accade nel nostro paese si è cercato di correre ai ripari solo dopo anni di colpevole negligenza.

Il governo si è attivato e dopo “accurate” analisi ha convenuto di aumentare i posti di ingresso al corso di laurea in medicina e ai corsi di specializzazione mediche. Per dare un idea del fenomeno, si è passati a un 21% di posti in più negli ultimi 2 anni per il corso di laurea in medicina (arrivando a oltre 14mila posti nel 2021) e soprattutto si è passati negli ultimi 5 anni a un aumento di oltre il 150% dei posti per specializzazioni mediche (dalle 5000 borse del 2016 alle 17400 nel 2021).

La pubblica opinione potrà pensare che questo sia solo un bene e che come decantato dal ministro Roberto Speranza “pone le fondamenta del Ssn del futuro”. Il ministro ha anche aggiunto: “grazie a una rete universitaria forte, adeguata”. Proprio quest’ultima affermazione lascia qualche perplessità a chi come me lavora all’interno degli ospedali universitari per diventare specialista. Allo stato attuale la quasi totalità degli ospedali universitari italiani non è assolutamente in grado di soddisfare il bisogno formativo dei sempre più numerosi nuovi specializzandi.

Per risolvere il problema della carenza di medici, si sarebbe dovuto prima di tutto potenziare la rete formativa e la capacità delle università di offrire una reale formazione di qualità. Invece si è proceduto in maniera miope e ottusa, ignorando i numerosi problemi che accompagnavano un frettoloso e semplicistico aumento delle borse a disposizione. Tra i motivi principali, vi è il fatto che gli ospedali non universitari non sono ancora stati integrati stabilmente nella rete formativa, e le strutture universitarie spesso non sono in grado di garantire la didattica anche in condizioni normali. Per fare un esempio pratico, se per uno specializzando di chirurgia è già molto difficile fare pratica in sala operatoria quando si è ad esempio in 20, quanta credete ne farà ora che saranno in 60? Questo ovviamente si applica a tutti i rami medici.

In definitiva, il sovraffollamento in cui si trovano e si troveranno sempre più le strutture ospedaliere preposte alla formazione degli studenti, renderà ancora più misera la già spesso carente qualità della formazione offerta. Come se non bastasse introdurrà nel mondo del lavoro, nel giro di pochi anni, un numero anomalo e spropositato di specialisti, che contribuirà a svalutare ulteriormente la già svilita professionalità dei medici in Italia, generando una corsa al ribasso dei contratti di assunzione come tipicamente avviene nel nostro paese già in moltissimi settori.

Molte associazioni di categoria si sono da sempre battute contro l’imbuto formativo che impediva a molti giovani medici (cosiddetti camici grigi) di continuare il percorso formativo e diventare specialisti. Battaglie senza dubbio lodevoli, che cercavano di tutelare sia il diritto alla formazione e al lavoro dei medici che il diritto alle cure della popolazione. Purtroppo aumentare i posti in specializzazione non rende scontato assorbire parallelamente nel Ssn un analogo numero di specialisti. Questo implica la creazione di un nuovo imbuto, questa volta non formativo ma lavorativo, annullando di fatto tutti gli sforzi messi in atto.

Più personale medico negli ospedali non vuol dire solo migliorare il servizio publico, ma anche rendere i medici meno oberati e consentirgli cosi di dedicare più tempo di qualità alla formazione degli specializzandi. Spero che queste stesse associazioni ora spostino il loro sguardo verso un problema molto più grande, ma che farà meno rumore, perché coinvolgerà soltanto la nostra categoria, ma solo apparentemente. Perché un abbassamento della qualità formativa dei nuovi medici è destinato a diventare presto un problema della collettività. Non lasciamo che accada.

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